La programmazione preventiva di Protezione Civile – parte 2

Una strategia per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva

ROMA – Nel precedente articolo del 27 Febbraio era stato introdotto, in sostituzione del termine “Piano di PC” il termine “Programmazione preventiva di PC” ed era stato sommariamente descritto come, secondo la consulta NCP, essa debba essere declinata, anche alla luce dell’importante dettame che la legge 100/12 ha introdotto nel modificare l’art.3 della legge 225/92, e cioè che ” … i piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile”.

Si era detto che la “Programmazione preventiva di PC” può divenire uno strumento operativo sia per ridurre la spesa pubblica, sia per promuovere un nuovo modello di crescita – sviluppando attività e occupazione attraverso nuove politiche di tutela non solo territoriale, ma anche economica e sociale, dai danni connessi alle calamità naturali – sia, infine, per promuovere dinamiche di legalità e di qualità nell’attività propria dell’azione di PC.

La “Programmazione preventiva di PC”, se declinata anche secondo il nuovo piano di lavoro della CGIL che ha posto come punto fondamentale per la ripresa “la manutenzione e messa in sicurezza del territorio”, associa al termine “sicurezza” il significato della parola inglese “safety” ossia salvaguardia dei beni, attenzione attiva e propositiva. Una concezione di sicurezza, dunque, molto distante da chi, nel complesso sistema di PC, accosta questi temi solo alla fondamentale e necessaria organizzazione dei soccorsi o da chi li considera un mero problema di ordine pubblico. La “programmazione preventiva” di PC intesa come “predisposizione e preparazione al soccorso e ad essere soccorsi”, rifugge, dunque, dalla delega all’esperto e da quella modalità di pianificazione lontana dai cittadini che fa redigere i Piani di PC “in solitaria”, tanto che i diretti destinatari – i cittadini – non ne conoscono neanche l’esistenza. Ma essa non è solo soccorso.

La “Programmazione preventiva” è rottura paradigmatica, nuovo respiro culturale, laddove prevede e pretende che le parti sociali siedano anch’esse – così come le strutture operative (per esempio i VVF) e il settore della ricerca – al tavolo della programmazione di PC. Perché la tutela e la protezione del territorio e delle attività produttive dai rischi, dai disastri ma anche dagli “eventi stagionali”, e quindi la tutela della continuità economica e produttiva, sono temi che non riguardano solo il Dipartimento di PC, o qualche ufficio della regione, o qualche ufficio della Provincia o i solerti UTG. Sono, invece, temi e problemi che riguardano prima di tutto la politica, le parti datoriali, sindacali ed elettive. La protezione civile è innanzitutto materia politica e il tecnicismo che le è stato attribuito in tutti questi anni, un vero e proprio predominio dell’aspetto tecnico, possiamo dire, ha celato la mancanza di politiche integrate di tutela.
Oggi l’aggressività del mercato non ammette né “tempi di fermo impianto” né danneggiamenti alla filiera produttiva, il rischio che si corre è quello di essere espulsi dal sistema. Oggi gli effetti e le applicazioni delle teorie liberiste (es. capitalismo di conquista), i vincoli alla spesa pubblica e i controlli preventivi di spesa imposti dalle nuove normative, unitamente alla limitatezza delle risorse disponibili nel post emergenza, obbligano a una maggior attenzione alla mitigazione del rischio e alla tutela delle attività economiche del territorio.
S’impone, dunque, una seria riflessione sul come “mettere in sicurezza” (dunque safety) il sistema produttivo dai rischi, già nella fase “ex ante” l’evento calamitoso/catastrofale e sul come rilanciare l’occupazione nelle aree colpite dall’evento. Un’impostazione, questa, oggi assente dalle attività cosiddette pianificatorie della protezione civile.
Il territorio anziché lasciarsi imporre un modello di ripresa e sviluppo, com’è accaduto in Abruzzo, può, con la “programmazione preventiva” di PC, delinearlo prima, e prepararsi alla sua attuazione. Naturalmente con tutti i limiti dettati dall’imponderabilità, dal non prevedibile che è una costante delle emergenze.
In sintesi, se, com’ è giusto che sia, gli Enti preposti ad assistere la popolazione e a soccorrerla, dopo anni di scontri inter-istituzionali, condividono oggi un modello di “intervento”, altrettanto giusto e sacrosanto dovrebbe essere il riconoscimento del ruolo delle parti datoriali e sociali nella costruzione di un modello condiviso di “protezione”; si dovrebbe consentire loro e loro stessi pretenderlo, di portare valore aggiunto facendoli sedere ai tavoli progettuali di protezione civile, ma anche a quelli “emergenziali”, superando dunque l’attuale modalità auto-referenziale che la pubblica amministrazione oggi tiene nel suo agire e che intende la protezione civile come attività di “palazzo” e non momento di massima condivisione.

… segue

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