“La cittadinanza attiva per la difesa del territorio”

ROMA . Nel corso degli anni, l’Italia, in risposta agli eventi avversi, ha orientato le proprie risorse, essenzialmente, verso la gestione del fenomeno calamitoso e verso l’organizzazione delle strutture civili, economiche, scolastiche per il ripristino delle condizioni di normalità e di equilibrio sociale.

A partire dal 1980, data del terremoto dell’Irpinia, dove si compresero l’estrema vulnerabilità del territorio italiano e la completa inefficienza della risposta dello Stato, grazie al Presidente Pertini, è iniziata la lenta costruzione di un modello operativo italiano di protezione civile. Tale modello prevede, in sintesi, quattro fasi di intervento: 1) previsione; 2) prevenzione; 3) gestione delle emergenze; 4) ritorno alla normalità. Con la tragedia di Sarno del 1998, il Paese ha iniziato, con la pianificazione del rischio idro-geologico, a dotarsi di un sistema moderno di previsione e prevenzione dei rischi, anche attraverso una legislazione mirata e riconosciuta, a livello europeo, all’avanguardia sul tema.
La recente emergenza diossina, che ha colpito la Campania, in modo chiaro ed inequivocabile, ha confermato la necessità di implementare l’impianto del sistema della previsione e prevenzione. L’emergenza diossina, infatti, dimostra che il Sistema Paese, oltre a dover tutelarsi da rischi naturali, dovrà sempre di più difendersi dai rischi tossicologici, industriali ed ambientali. Il Piano per il controllo dell’emergenza diossina in Campania, approvato dall’UE, è un modello di pianificazione integrata, dove, nel particolare, diverse amministrazioni dello Stato (ambiente, sanità, agricoltura, ecc..) hanno contribuito per fronteggiare una tra le più temibili emergenze nazionali.
Storicamente, il legame esistente tra la Protezione Civile e il Servizio Sanitario Nazionale è stato sempre forte. Ricordiamo, al riguardo, gli ospedali da campo, la rete del 118, l’elisoccorso, la medicina d’urgenza. Il legame, riconosciuto a livello europeo, ha prodotto, nei momenti delle varie emergenze, sempre dei buoni risultati, sia in Italia che all’estero. Ciononostante, le insidie delle nuove emergenze (tossicologiche, ambientali) e l’evoluzione tecnologica di attività di monitoraggio, nonché efficienti e sofisticati sistemi di prevenzione, devono necessariamente valorizzare altre strutture del Servizio Sanitario Nazionale, che, per storia, professionalità ed esperienza, lavorano nella prevenzione. Nel 1992, con la riforma sanitaria, il Sistema Paese si dota, per primo in Europa, di una struttura identificata in un Dipartimento di Prevenzione presente in ogni Azienda Sanitaria. In tale struttura lavorano medici, veterinari, biologi, chimici, ingegneri e tecnici della prevenzione, che, in attuazione di regolamenti comunitari, di leggi nazionali e regionali, svolgono precipue attività sulla sicurezza alimentare, igiene pubblica, medicina del lavoro, sanità animale e salute della collettività, sia in situazioni ordinarie che in condizioni di “emergenza”. Tali professionisti sono coinvolti, infatti, tra l’altro, sul rischio chimico, tossicologico, infettivo, industriale, alimentare, anche attraverso specifici piani, sia nazionali che regionali (piano nazionale residui, piano nazionale alimenti, ecc..). Queste figure professionali sono riconducibili al medico e al veterinario comunali ed il Sindaco, infatti, con le loro azioni e i loro interventi, assicurava la sanità pubblica.  Dunque, sebbene la struttura, negli anni, abbia subito una “aziendalizzazione”, la mission del Dipartimento di Prevenzione è sempre quella di garantire, a livello capillare e territoriale, la salute della collettività, la sanità animale e la tutela dell’ambiente. Quindi, in riferimento alla Legge 100/2012, che obbliga i Sindaci a dotarsi di un piano comunale di emergenza, nella redazione di un piano particolareggiato della Funzione Sanità, il ruolo del dipartimento risulta fondamentale. Tale orientamento era già stato sottolineato dal Governo Prodi con la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza. Al riguardo, si segnala che già nell’allegato 1 dell’ ipotesi di DPCM del 2008 sui LEA, per il Livello di assistenza: Prevenzione collettiva e Sanità pubblica, nella sezione Tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati, alla tavola B 14, venivano riportate le seguenti azioni e prestazioni del SSN:
-Predisposizione di sistemi di risposta ad emergenze da fenomeni naturali o provocati (climatici e nucleari, biologici, chimici, radiologici);
-Previsione degli scenari emergenziali;
-Partecipazione al sistema di allerta;
-Attività di vigilanza e controllo programmate e derivanti dall’attivazione del sistema di allerta;
-Attività di informazione ai cittadini e alle istituzioni;
-Comunicazione / informazione;
-Predisposizione di piani e protocolli operativi in accordo con altre istituzioni coinvolte.

In conclusione, possiamo affermare che, per un efficiente “Sistema Complesso di Protezione Civile” riconosciuto e validato, tutte le componenti devono dare il proprio contributo per la realizzazione di un sistema integrato, dove ogni componente agisce nel rispetto del ruolo e delle competenze altrui, apporta al sistema il proprio carico di professionalità e di competenze specifiche, utilizzando risorse e mezzi propri (sistemi informativi, linee-guida, protocolli e procedure). Solo così è possibile fornire una risposta adeguata all’emergenza. Il cittadino deve essere posto al centro e, quindi, la comunità in cui risiede diventa il perno della prima risposta e il Sindaco, primo cittadino, Autorità di protezione Civile, si configura quale “garante” per il Sistema. Risultano, pertanto, enormemente attuali i concetti di territorialità, cittadinanza attiva, sussidiarietà e resilienza. Dal territorio, quindi, deve partire la rivoluzione culturale per la tutela della popolazione, del proprio patrimonio artistico, agro-zootecnico e ambientale, fornendo alle strutture competenti le giuste coordinate per la propria salvaguardia.

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