Roberto Saviano. Errare humanum est

ROMA – Su wikipedia  al termine  “divismo”  si legge:  “fenomeno di costume nato nel XX secolo… consiste essenzialmente in un processo di “divinizzazione” di un individuo, nel senso in cui la sua immagine diventa un’icona altamente simbolica e onnipresente nella vita della gente comune, al pari di quello che era stato per le icone religiose del passato”.  

Il  divismo inizialmente riguardava soprattutto gli attori di cinema;  in seguito molti personaggi pubblici, nel bene e nel male, sono diventati “divi”.  Roberto Saviano nella nostra società è “prima donna”:   gode di grande credibilità alimentata dalla vita cui è stato costretto, magari inconsapevolmente, dal suo stesso coraggio e  dai valori in cui crede.

Attaccare la reputazione di un simbolo come il difenderlo a spada tratta, partendo anche da motivazioni insignificanti,  rende protagonista coloro i quali hanno bisogno di godere di luce riflessa: la denigrazione fa salire nella considerazione di se, la sublimazione  anche. In  mezzo a questo sguazza il pettegolezzo,   forte necessità di comunicare tra individui, a volte con divertimento  sadico. Sguazzano le consorterie che parlano per partito preso  e per interesse.

Su Saviano è stata messa in scena una commedia senza argomenti fondamentali. E’ iniziata quando lo scrittore ha narrato che Benedetto Croce, unico superstite di una famiglia orribilmente massacrata dal terremoto, si sarebbe sentito dire da Pasquale Croce, il padre  moribondo: “Offri centomila lire a chi ti salva”. Da più parti gli è stato rimproverato di mistificare la storia e la memoria,  additando quella versione come frutto della sua fantasia.  Probabile che  Saviano abbia scambiato per realtà il racconto che aveva architettato, che abbia commesso errori, che sia stato frettoloso nel documentarsi. Roberto Saviano è un ragazzo di 32 anni,  molto in gamba ma fallibile come tutti. Ciò detto, la zuffa che ne è scaturita ha visto protagonisti esponenti di destra e di sinistra. Continua tutt’oggi, con molte variazioni sul tema, infiamma le pagine dei giornali.  E pensare che si è sbagliato il nobel André Gide quando,  leggendo l’incipit de “La ricerca del tempo perduto”  di Proust, lo rifiutò perché non ne capiva il senso.

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