Allarme riscaldamento globale: un futuro da film post-apocalittico

ROMA: Gli ultimi studi sulle condizioni climatiche e ambientali portano cattive notizie e richiamano alla mente scenari da film post-apocalittico: grandi città, monumenti importanti e secolari sommersi, aria non respirabile. 

E’ la ricerca del dottor Andrew Friend, del dipartimento di Geografia dell’Università di Cambridge a indicare una soglia critica oltre la quale le piante si satureranno di carbonio e non riusciranno più a drenarlo dall’atmosfera: 4°C.
Se la temperatura media del pianeta salirà di altri 4 gradi, la quantità di CO2 nell’atmosfera crescerebbe a dismisura e, nel medio termine, l’aria non sarebbe più respirabile.
Come è noto, le piante svolgono la funzione di assorbire l’anidride carbonica e ne riducono la densità nell’aria che respiriamo e un ruolo fondamentale in merito lo svolgono i grandi polmoni del Pianeta: l’Amazzonia, le foreste equatoriali africane e asiatiche, le foreste fredde artiche. Se cessassero di svolgere questa funzione sarebbe a rischio la vita sulla Terra, anche quella umana.
Negli ultimi decenni è stato registrato un aumento costante e marcato delle temperature dell’atmosfera, che insieme alle frequenti siccità che colpiscono le aree coperte da vegetazione, ha ridotto il tempo di permanenza del carbonio negli organismi vegetali; quindi viene rilasciata nell’atmosfera una parte dell’anidride carbonica che dovrebbe invece rimanere conservata al loro interno. Le piante contribuiscono, in altri termini, ad alleviare gli effetti delle alte concentrazioni di CO2 sempre di meno.
Il caso limite studiato è l’ondata di calore che colpì l’Europa nel 2003: le temperature di quella torrida estate superarono la media di più di 6°C, bruciando in pochi mesi ciò che la natura aveva assorbito in quattro anni di vita vegetale.

Contemporaneamente, lo studio pubblicato oggi dal giornale Environmental Research Letters, condotto principalmente da Ben Marzeion, dell’Università di Innsbruck, giudica a rischio ben un quinto dei 720 siti patrimonio dell’Unesco, molti dei quali erano già stati nominati tempo fa a rischio a causa non solo di calamità naturali, desertificazione, cambiamenti climatici, ma anche di urbanizzazione incontrollata, sfruttamento delle risorse, guerre e molto altro ancora. I siti in questione si trovano in Asia, America Latina e Africa e tra le più eccellenti troviamo le isole Galapagos (Ecuador), paradiso terrestre per specie animali e vegetali, minacciato sia dal turismo di massa che dalla pesca illegale; c’è poi la barriera corallina in Belize, la seconda più grande al mondo dopo quella australiana, messa a rischio dagli stessi problemi delle Galapagos, ma in aggiunta anche per via dell’inquinamento e dell’abbattimento delle mangrovie. Sarebbe quindi l’uomo e le sue attività a deturpare e quasi distruggere queste meraviglie della natura. Per tutta risposta, sarà la natura, a quanto pare, ad abbattere le creazioni dell’uomo come la Statua della Libertà, la Torre di Pisa, la Torre di Londra e il Teatro dell’Opera di Sidney.

Conseguenze gravi e situazioni disastrose. Il lato positivo? A meno che non sarà scoperto un elisir di lunga, lunghissima vita, nessuno di noi assisterà a queste sciagure. Quelle contemporanee ci bastano.

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