Dieci anni senza Tiziano Terzani

Il grande giornalista toscano moriva nel 2004 dopo una straordinaria esperienza umana e professionale

“Ormai mi incuriosisce più morire. Mi dispiace solo che non potrò scriverne” (Tiziano Terzani)

ROMA – E’ stato uno dei più grandi giornalisti, inviati di guerra e saggisti italiani. Le sue testimonianze erano lucide, realistiche e ponevano profonde riflessioni sull’uomo, sulla guerra, sulla morte e sulle ingiustizie. E’ stato un grande viaggiatore, i suoi reportages hanno fatto la storia del giornalismo. Su tutti ricordiamo i suoi scritti sul conflitto vietnamita. Dieci anni fa moriva Tiziano Terzani, un punto di riferimento per chiunque faccia ancora questo mestiere. Con Oriana Fallaci e Goffredo Parise è stato il più grande inviato di guerra del giornalismo italiano. Tiziano Terzani nasce il 14 settembre 1938 a Firenze in via Pisana nel quartiere popolare di Monticelli. Il padre, Gerardo Terzani, gestiva una piccola officina meccanica a Firenze vicino a Porta Romana e la madre, Lina Venturi, lavorava come cappellaia in un negozio di sartoria. I genitori impegnarono gli averi al Monte di Pietà e acquistarono a rate i pantaloni che consentirono a Tiziano di frequentare la succursale della Machiavelli in piazza Pitti. Dal 1954 proseguì gli studi al liceo classico Galileo dove si diplomerà brillantemente nel 1957. In quegli anni frequentò i “Sabati dello studente” in via Gino Capponi, un circolo ricreativo in cui soddisfò la passione per il cinema e il teatro misurandosi anche in sporadiche recitazioni. Nel 1955 per guadagnare qualche soldo collaborò al Giornale del mattino diretto dal giovanissimo Ettore Bernabei, futuro presidente della Rai negli ‘60 e ’70. Nei panni di cronista sportivo ebbe il compito di documentare le corse podistiche, le gare in bicicletta e soprattutto le partite di calcio del Campionato nazionale Dilettanti coprendo in particolare la provincia di Firenze muovendosi con la Vespa del padre. Nel 1956, nel periodo drammatico della Rivoluzione ungherese, si iscrisse alla sezione fiorentina della Gioventù Federalista Europea, l’organizzazione giovanile del Movimento Federalista Europeo fondato da Altiero Spinelli. Un’adesione temporanea ma che rivela la capacità di non allinearsi ai pensieri dominanti dell’epoca, quello di matrice cattolica legata alla Democrazia Cristiana e quello marxista legato al Partito comunista. Sfidando il parere dei genitori tentò l’ammissione al collegio Medico-Giuridico annesso alla Scuola Normale di Pisa. Nel concorso nazionale che offriva solo cinque posti, arrivò secondo. Scelse la facoltà di giurisprudenza. Si laureò nel 1961 a pieni voti presentando una impegnativa tesi di diritto internazionale con il giurista Giuseppe Sperduti dal titolo “Il Dominio riservato”. Una tesi che richiama i caratteri, le inclinazioni e gli interessi che manifesterà più avanti nella professione giornalistica. L’Olivetti forte della sua rete globale di concessionarie e fabbriche gli consentì di viaggiare in tutto il mondo. Il 27 novembre 1962, pochi mesi dopo l’assunzione, sposò Angela a Vinci. Il lavoro dell’Olivetti lo portò prima a viaggiare in tutta Europa – con lunghi soggiorni in Danimarca, Portogallo, Olanda, Gran Bretagna – e successivamente in Oriente. Nel gennaio 1965 arrivò in Giappone, fu la sua prima volta in Asia. Qui visitò anche Hong Kong e il sogno della Cina iniziò a prendere forma. Nel 1966 acquistò con i primi risparmi un terreno nella valle dell’Orsigna dove negli anni a venire costruì una piccola abitazione. Nell’autunno 1967 l’Olivetti lo mandò in Sud Africa, a Johannesburg. In questo paese segnato dall’apartheid raccolse materiali, interviste e fotografie per redigere i primi reportage che pubblicò su l’astrolabio, settimanale della sinistra indipendente diretto da Ferruccio Parri. Nel 1968 si trasferì in California frequentando la Stanford University dove imparò la lingua cinese. Si interessò allo studio del maoismo e del comunismo cinese, incuriosito dalla grande eco che la Rivoluzione culturale di Mao stava avendo in tutto il mondo. Alla fine di novembre del 1969 iniziò il praticantato nella redazione del quotidiano milanese “Il Giorno” diretto da Italo Pietra e Angelo Rozzoni. Qui conobbe inviati già affermati come Natalia Aspesi, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa e uno dei giornalisti ai quali fu legato da profonda amicizia, Bernardo Valli. Nel gennaio 1972 si stabilì a Singapore in Winchester Road aprendo il primo ufficio di Der Spiegel in Peck Hay Road. Nel novembre del 1973 pubblicò per Feltrinelli la sua prima opera letteraria, “Pelle di leopardo”, Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973 inserito nella collana Franchi Narratori. Dal luglio 1974 al maggio 1975 Terzani collaborò anche con Il Messaggero, diretto in quel periodo da Italo Pietra. Nel 1975 fu tra i pochi giornalisti non solo ad assistere alla caduta di Saigon, ma a rimanervi per tre mesi dopo la presa del potere da parte delle forze comuniste. Alla fine del 1975 si trasferì con tutta la famiglia a Hong Kong abitando sul Peak in Mount Austin Road in un caseggiato con altri giornalisti. Questo essere alle porte della Cina alimentò il suo interesse e il sogno di trasferirsi sul territorio cinese. Nel 1976 iniziò a collaborare con la Repubblica, il nuovo quotidiano fondato e diretto da Eugenio Scalfari finanziato da Carlo Caracciolo e Giorgio Mondadori che contava una settantina di redattori oltre a molti volontari tra cui Giorgio Bocca, Miriam Mafai e Barbara Spinelli. Il libro “Un altro giro di giostra” tratta del suo modo di reagire alla malattia, un tumore all’intestino, viaggiando per il mondo e osservando con lo stesso spirito giornalistico di sempre le tecniche della più moderna medicina occidentale e le medicine alternative. Era senza dubbio il suo viaggio più difficile, alla ricerca di una pace interiore, che lo portò ad accettare serenamente la morte. Terzani si ritirò in Asia e in India per diversi anni, grazie all’amicizia dell’amico Pietro Della Torre che lo accostò alla realtà filomatica. In seguito trascorse i suoi ultimi giorni ad Orsigna, il rifugio di una vita, sull’Appennino tosco-emiliano (Pistoia), spegnendosi il 28 luglio 2004. La ricerca della verità si spostò dai fatti all’interiorità, portandolo a concepire il giornalismo solo come una fase della sua vita. Le sue ultime memorie sono registrate in un’intervista televisiva intitolata “Anam, il senza nome” (dove Terzani parla anche della sua scelta etica in favore del vegetarismo) e nel libro postumo “La fine è il mio inizio”, in cui il giornalista riferisce al figlio Folco le proprie riflessioni di tutta una vita. Terzani non fu molto conosciuto in Italia durante la sua attività giornalistica, poiché la testata per la quale lavorava principalmente era un periodico tedesco, Der Spiegel (anche se scrisse saltuariamente per molte testate italiane tra cui L’Espresso), ma oggi è riconosciuto quale uno dei massimi scrittori italiani di viaggi del XX secolo, appassionato cronista del proprio tempo, entusiasta ricercatore della verità degli avvenimenti, dei suoi protagonisti e degli uomini suoi compagni di viaggio, fisico e spirituale: una mente tra le più lucide, progressiste e non violente di inizio XXI secolo.

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