Made in Italy. Scandaloso ragù marchio multinazionale

Venduto dagli Stati Uniti al Giappone senza alcun legame con all’Italia

ROMA – E’ scandaloso che il nome comune di una ricetta tipica della tradizione italiana sia diventato un marchio registrato da una multinazionale che viene venduta e comperata dagli Stati Uniti al Giappone senza alcun legame con la realtà produttiva del Made in Italy. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare la cessione da parte di Unilever dei marchi Ragù e Bertolli (la divisione sughi e piatti pronti) alla giapponese Mizkan per 2,5 miliardi di dollari (circa 1,6 miliardi di euro), compresi due stabilimenti di produzione negli Stati Uniti. “Siamo di fronte ad un episodio che conferma la disattenzione con cui nel passato è stato difeso il patrimonio agroalimentare nazionale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo che ha portato nel tempo “troppi a fare affari nel mondo con il falso Made in italy che nulla ha a che fare con la realtà produttiva e occupazionale del Paese”. Una lezione che – precisa Moncalvo – dobbiamo imparare anche in riferimento al negoziato sul libero scambio in corso con gli Stati uniti dove è in ballo la tutela delle nostre denominazioni alimentari piu’ tipiche su un mercato dove 8 formaggi di tipo italiano su 10 sono in realtà ottenuti nel Wisconsin, in California e nello Stato di New York, dal parmesan al provolone, dall’asiago alla mozzarella)

Secondo la ricetta depositata dalla delegazione bolognese dell’Accademia italiana della cucina presso la Camera di Commercio di Bologna il vero ragù – sottolinea la Coldiretti – è fatto con i seguenti ingredienti: polpa di manzo macinata grossa, pancetta di maiale, carota gialla, costa di sedano, cipolla, passata di pomodoro o pelati, vino bianco secco, latte intero, poco brodo, olio d’oliva o burro, sale, pepe.  Con il marchio Ragu’ venduto dall’Unilver all’azienda giapponese si vendono invece – precisa la Coldiretti – improbabili varianti denominate Pizza, Robusto, Ragu’ pasta ed anche una tipologia chunky per vegetariani ottenuta con tutta probabilità con pomodoro coltivato in California.  Un esempio di “italian sounding” che nulla ha a che fare con la tradizione italiana e che – continua la Coldiretti – oltre a togliere spazi di mercato al vero Made in Italy rischia di danneggiare l’immagine della gastronomia italiana nel mondo. Complessivamente, le imitazioni di prodotti alimentari italiani nel mondo sviluppano un fatturato di 60 miliardi pari a quasi il doppio delle esportazioni dei prodotti originali e sono diffuse soprattutto nei Paesi piu’ ricchi del globo. Nei diversi continenti sono infatti in vendita inquietanti aberrazioni, dallo “Spicy thai pesto” statunitense al “Parma salami” del Messico, ma anche una curiosa “mortadela” siciliana dal Brasile, un “salami calabrese” prodotto in Canada, il “provolone” del Wisconsin, gli “chapagetti” prodotti in Corea,. Le denominazioni Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono le piu’ copiate nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia fino al Giappone, ma in vendita c’è anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America. Per non parlare del Romano, dell’Asiago e del Gorgonzola prodotti negli Stati Uniti dove si trovano anche il Chianti californiano e inquietanti imitazioni di soppressata calabrese, asiago e pomodori San Marzano “spacciate” come italiane.

La multinazionale olandese Unilever aveva acquisito il marchio Bertolli e le attività produttive, di marketing e di vendita all’ estero nel 1993 dalla finanziari Fisvi  che ne era entrata in possesso poco prima a seguito della privatizzazione della Sme, la finanziaria pubblica dell’agroalimentare. Successivamente  le attività nel settore dell’olio a marchio Bertolli sono state cedute dall’Unilever al gruppo spagnolo SOS e dopo alcune peripezie sono finite proprio lo scorso mese (11 aprile 2014) insieme ai marchi Sasso e Carapelli al fondo inglese CVC Capital Partner che ha battuto l’offerta italiana dalla joint venture formata dal Fondo Strategico Italiano (Fsi) e Qatar Holding.

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