Isis distrugge Nimrud. Intervista all’archeologo Morandi Bonacossi

Una vera “pulizia etnica”» afferma il direttore del progetto archeologico “Terra di Ninive”, appena rientrato dal Kurdistan

ROMA – Ancora distruzione in Iraq, e ancora per mano dell’Isis. Dopo la devastazione del Museo di Mosul e del sito archeologico di Ninive di pochi giorni fa, i jihadisti hanno distrutto con i bulldozer il sito archeologico di Nimrud, città fondata nel XIII secolo a.C. a 30 chilometri ad est di Mosul, sul fiume Tigri. I numerosi e più o meno recenti appelli di esperti e non, divulgati anche da ArteMagazine, si trasformano ormai in grida di allarme. Ma c’è chi nella devastazione continua a scavare, studiare, salvaguardare e valorizzare i resti delle culture preislamiche dell’attuale Iraq: fiore all’occhiello dell’archeologia italiana nel mondo sono le nostre missioni archeologiche nei paesi afflitti dalla guerra che, finanziate dal Ministero degli Esteri, sono circa 190. ArteMagazine ha incontrato Daniele Morandi Bonacossi, professore di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’Università di Udine e direttore del progetto archeologico regionale Terra di Ninive. Tornato da circa due settimane in Italia dal Kurdistan iracheno, Morandi Bonacossi è a capo di una squadra che conduce innovative ricerche con moderne tecnologie mai applicate al patrimonio iracheno, e non solo. Il progetto è infatti volto a documentare, conservare, valorizzare e gestire il patrimonio del territorio. Patrimonio che, inoltre, la squadra di lavoro di Morandi Bonacossi vuole proporre alla World Heritage List dell’Unesco. L’intervista è di Fulvia Palacino.

È di poche ore fa la notizia dell’attacco dell’Isis a Nimrud, si sa cosa è andato distrutto?
«No, purtroppo non abbiamo ancora notizie precise al riguardo, dal momento che nessun archeologo ha accesso alla regione dell’Iraq settentrionale controllata dall’Isis. Neanche i funzionari e gli archeologi dello State Board of Antiquities and Heritage di Baghdad possono controllare i siti archeologici della regione. L’orrore che noi archeologi proviamo di fronte a questa nuova e annunciata devastazione è grande, anche perché a Nimrud, capitale dell’impero assiro nel IX e VIII secolo a.C., scavi archeologici iniziati già a metà dell’Ottocento e proseguiti fino agli anni ’90 del secolo scorso hanno portato alla luce importantissimi edifici monumentali (palazzi e templi) costruiti dai sovrani che fondarono l’impero neo-assiro, il primo impero globale della storia».

Si può sapere con certezza cosa, invece, è andato distrutto a Mosul e a Ninive nei giorni scorsi?
«È andata distrutta una coppia di colossali tori alati androcefali (lamassu in assiro), che proteggevano una delle 15 porte urbiche costruite nelle mura di Ninive dal sovrano assiro Sennacherib fra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C. I tori alati erano stati portati alla luce nell’800 e si trovavano all’interno della Porta del dio Nergal (la divinità delle pestilenze e dell’oltretomba) musealizzata dagli archeologi iracheni. Nel Museo di Mosul erano custoditi molti reperti provenienti proprio da Ninive, ma anche da altri importantissimi centri urbani assiri vicini, come Nimrud stessa e Balawat, e dalla grande città di epoca partica di Hatra. Molti di questi reperti erano stati trasferiti a Baghdad all’indomani del tragico saccheggio del Museo dell’Iraq nel 2003 per ragioni di sicurezza. Alcuni degli oggetti distrutti dall’Isis nel Museo di Mosul, infatti, erano calchi in gesso di originali. Molte delle statue distrutte dai miliziani dell’Isis, tuttavia, erano capolavori autentici dell’arte di Hatra rappresentanti sovrani, dignitari e divinità di questa grande città carovaniera fiorita fra il II secolo a.C. e l’inizio del III sec. d.C. lungo le rotte commerciali che collegavano l’Oriente all’Occidente. Il timore che noi archeologi abbiamo, inoltre, è che i miliziani abbiano distrutto i reperti inamovibili e difficilmente commerciabili nel fiorente mercato clandestino dei materiali archeologici che l’Isis alimenta attraverso saccheggi continui di siti siriani e iracheni, come le statue di grandi dimensioni, ma che abbiano razziato i reperti di piccole dimensioni presenti nel museo per venderli. Nel Museo di Mosul, ad esempio, si trovavano pregevolissime lamine di bronzo decorate a rilievo con scene raffiguranti le campagne militari dei re assiri, che ricoprivano le porte di palazzi e templi del sito archeologico di Balawat, l’antica città assira di Imgur-Enlil, ubicata una ventina di chilometri a est di Mosul».

Parliamo del mercato clandestino delle opere, definite come il “nuovo petrolio”.
«Sembra trattarsi di un traffico vasto e ramificato, che interessa la Siria e l’Iraq settentrionale e che assume sostanzialmente due forme: quella della razzia su grande scala sostenuta e organizzata dall’Isis e il saccheggio per così dire di sussistenza, praticato in alcune zone della Siria non controllate dall’Isis, ma dove gli effetti della guerra civile in corso sono così tragici e devastanti anche dal punto di vista economico, da indurre alcuni siriani ad aggregarsi formando bande di “tombaroli” che saccheggiano in maniera sistematica siti archeologici anche importanti, come la città ellenistico-romana di Apamea, per poter sopravvivere alla crisi economica. L’Isis, invece, per parte sua concede a bande di scavatori clandestini l’autorizzazione a saccheggiare siti archeologici incassando una percentuale delle vendite dei reperti, che, attraverso i sentieri utilizzati dai contrabbandieri, vengono poi esportati attraverso la Turchia e il Libano in Europa e negli Stati Uniti. Le dimensioni di questo traffico clandestino di oggetti antichi rimangono ancora difficili da accertare, ma pare che il saccheggio di siti archeologici costituisca per l’Isis la seconda fonte di guadagno dopo il contrabbando di petrolio».

Qual è il motivo di questi attacchi distruttivi?
«La motivazione religiosa, su cui troppo spesso si pone l’accento nel tentativo di spiegare questa follia distruttrice dell’Isis, è in realtà solo un pretesto utilizzato dai fondamentalisti per giustificare le proprie azioni, sostenendo che esse sono mirate a distruggere raffigurazioni di idoli antichi, così come fece il Profeta Maometto, che, conquistata la Mecca, nel santuario della Ka’ba distrusse gli antichi idoli pre-islamici. In realtà, l’ormai sistematica distruzione del patrimonio culturale dell’Iraq in tutte le sue manifestazioni (siti archeologici, biblioteche, moschee, tombe islamiche, musei) è una componente essenziale dell’azione di pulizia etnica che l’Isis porta avanti. Antiche comunità non islamiche, come quelle dei cristiani assiri e caldei e degli yezidi, ma anche minoranze islamiche, come i turcomanni, vengono sradicate dalle loro regioni di origine, massacrate e, di fatto, deportate perché costrette alla fuga (nella sola regione di Dohuk si trovano 800.000 profughi provenienti da Mosul e dalla sua regione). Parallelamente, il patrimonio culturale millenario di queste regioni viene devastato e cancellato allo scopo di annullare i simboli e l’identità culturale di queste comunità, che vengono così massacrate due volte. L’Isis vuole che il passato dell’uomo in quello che fu il cuore dell’antica Mesopotamia e del successivo califfato abbaside venga interamente rimosso dal paesaggio della regione per costruire il suo Califfato delle origini in cui il passato non esiste più, ma è schiacciato sull’eterno presente di un Islam fasullo riportato alla purezza delle sue origini».

Il progetto Terra di Ninive inizia nel 2012 con la missione dell’Università di Udine in Assiria finanziata dalla Cooperazione italiana allo sviluppo del Ministero degli Esteri e svolta in collaborazione con la direzione generale delle Antichità di Dohuk ed Erbil, Ministero delle municipalità del Turismo, Ministero del turismo e delle Antichità iracheno, lo State board of Antiquities and Heritage e l’Istituto per le tecnologie applicate ai Beni culturali del CNR.

Questo articolo è presente anche su ArteMagazine

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