No alle trivelle, grande mobilitazione in Abruzzo

Legambiente: “Solo rischi e danni pesanti e niente da guadagnare per il Paese” . Ombrina Mare: minaccia per l’economia sana e in radicale contrasto con la costituzione del Parco della Costa Teatina

CHIETI  – “La battaglia contro le trivellazioni in mare si fa sempre più dura. E su Ombrina Mare dobbiamo denunciare l’inerzia di tutti coloro che hanno ostacolato la nascita del Parco, a cominciare dagli amministratori locali”. Così Legambiente alla grande manifestazione che si è svolta oggi a Lanciano in Abruzzo per dire no alle trivelle e al progetto Ombrina Mare (presentato dalla Medoilgas Italia, oggi Rockhopper).

Dopo l’ennesima norma pro-trivelle, ovvero il decreto Sblocca Italia, è ripresa, infatti, la pressione per realizzare nuovi pozzi e piattaforme. Tra queste, Ombrina Mare,  di fronte alla costa abruzzese, prevede un impianto di estrazione con annesso centro di trattamento galleggiante – in altre parole una vera e propria raffineria – a sole tre miglia dal Parco nazionale della Costa Teatina di cui si attende l’istituzione.

“Nell’anno della Cop21, dove si giocherà la partita del nuovo protocollo per combattere il cambiamento climatico – ha dichiarato da Lanciano il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – questo progetto ha una drammatica valenza simbolica per tutto il paese, e non riguarda solo l’Abruzzo. E’ in assoluto contrasto con ogni strategia che voglia lottare contro i cambiamenti climatici. Un ennesimo progetto della vecchia economia novecentesca del petrolio, che mette a rischio tutta l’economia sana della zona ed è in radicale contrasto con la costituzione del Parco della Costa Teatina, che da anni stiamo inseguendo”.

Decine di piattaforme sono già attive per l’estrazione di gas e petrolio nel mare Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia. Sul versante italiano dell’Adriatico, le piattaforme già attive per l’estrazione di greggio sono 6 e sono attive, anche, 39 concessioni per l’estrazione di gas, da cui si estrae il 70% del metano prodotto in Italia. L’Adriatico, per le sue caratteristiche di “mare chiuso”, è un ecosistema molto importante e un ambiente estremamente fragile già messo a dura prova, ciononostante le aree interessate da attività di ricerca petrolifera in questa fetta di mare coprono quasi 12.000 kmq. Complessivamente, le richieste presentate per le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi nei fondali italiani sono 72 e interessano un’area marina pari a circa 32mila kmq nel caso della ricerca e 92mila kmq nel caso della prospezione.

Le quantità di idrocarburi in gioco, però, inciderebbero ben poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dello Stato. Tutto il greggio presente sotto il mare italiano, stimato in circa 10 milioni di tonnellate, sarebbe infatti sufficiente, stando ai consumi attuali, al fabbisogno energetico di sole 8 settimane. La maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private. Gli eventuali e possibili danni ricadrebbero sulla collettività.

Ed è dei giorni scorsi il via libera del Consiglio dei ministri al recepimento della direttiva 2013/30/UE sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Che parla chiaro: serve un’accurata relazione sui grandi rischi e sugli incidenti che potrebbero verificarsi, la verifica delle garanzie economiche da parte della società richiedente per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, l’applicazione di tutte le misure necessarie per individuare i responsabili del risarcimento in caso di gravi conseguenze ambientali fin dal rilascio dell’autorizzazione.
“Passaggi che a quanto pare non sono stati considerati dal governo nell’iter autorizzativo di Ombrina Mare” ha commentato Giuseppe Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo, nel sottolineare come un ultimo punto importante della direttiva sull’offshore riguardi la partecipazione del pubblico e come nel processo di autorizzazione vada tenuto conto del parere dei cittadini, amministrazioni e enti dei territori interessati dalle richieste.
“Mancano inoltre all’appello – aggiunge Giuseppe Di Marco – valutazioni sugli effetti che l’attività avrà sul mare e sulle aree protette già oggi presenti sulla costa, tra cui aree SIC che richiedono una valutazione di incidenza ambientale”.

Soprattutto, il progetto Ombrina Mare non ha senso: gli studi presentati parlano di un greggio di pessima qualità, presente in quantità trascurabile, sufficiente a coprire a fatica lo 0,2% del consumo annuale nazionale e di una quantità di gas sufficiente a coprire appena lo 0,001% del consumo annuale nazionale, con una ricaduta locale (in termini di royalties) equivalente all’importo di mezza tazzina di caffè all’anno per ogni abruzzese.
Con le trivellazioni, se c’è qualcosa da guadagnare non è certo per il Paese. Il governo si faccia due conti.

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