Latte. In 10 anni dimezzate le stalle italiane

ROMA – Negli ultimi dieci anni si è praticamente dimezzato il numero di stalle presenti in Italia dove nel 2015 si è raggiunto il minimo storico di 33mila allevamenti, rispetto ai 60mila attivi nel 2005, per effetto del crollo del prezzo pagato agli allevatori che è sceso addirittura al di sotto dei costi di alimentazione del bestiame.

E’ quanto emerge dallo studio Coldiretti “Il latte italiano, un primato da difendere”, divulgato in occasione della Giornata nazionale del latte italiano alla presenza del premier Matteo Renzi a Milano, dove si svolge l’appuntamento nazionale in occasione del Milk World Day promosso dalla Fao in tutto il mondo.

A fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, sotto forma – sottolinea la Coldiretti – di concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Si tratta di circa il 40 per cento di quanto si consuma in Italia e c’è dunque – continua la Coldiretti – il rischio concreto che il latte straniero possa a breve per la prima volta superare quello tricolore.

La pressione delle importazioni di bassa qualità spacciate come Made in Italy hanno fatto crollare il prezzo alla stalla fino anche a 0,30 euro al litro che – denuncia la Coldiretti – non consentono neanche di garantire l’alimentazione degli animali e che spingono le aziende alla chiusura. In altre parole – spiega la Coldiretti – gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. “Per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura ma quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “in pericolo c’è un patrimonio culturale, ambientale ed economico del Paese.

A rischio ci sono i 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista dell’immagine del Made in Italy. In pericolo c’è anche il primato nazionale in Europa dei 49 formaggi italiani a Denominazione di origine Protetta (Dop) davanti alla Francia ferma a 45. La sfida tra Italia e Francia nella produzione di formaggi ha radici lontane e se Charles De Gaulle si chiedeva come governare la Francia che ha più formaggi che giorni nel calendario, la situazione non gli sarebbe parsa certamente più facile in ltalia che di formaggi tradizionali censiti dalle Regioni ne ha ben 488 che si aggiungono – continua la Coldiretti – a quelli denominazione di origine protetta (Dop) ai quali è destinato circa la metà del latte consegnato dagli allevamenti italiani (45,5 per cento per circa 50 milioni di quintali).

A pesare è anche l’agropirateria internazionale con i formaggi italiani che sono in testa alla classifica dei prodotti più taroccati che sviluppano complessivamente un fatturato di 60 miliardi. Si va dal Provolone al Gorgonzola, dal Pecorino Romano all’Asiago, dalla Mozzarella alla Fontina anche se i piu’ copiati sono il Parmigiano e il Grana con le imitazioni che hanno superato i 300 milioni di chili realizzati per poco meno della metà negli Stati Uniti, dal falso parmigiano vegano a quello prodotto dalla Comunità Amish, dal parmesan vincitore addirittura del titolo di miglior formaggio negli Usa al kit che promette di ottenerlo in casa in appena  2 mesi, ma anche quello in cirillico che – conclude la Coldiretti – si è iniziato a produrre in Russia dopo l’embargo, il parmesao brasiliano, il reggianito argentino e il parmesan perfect italiano, ma prodotto in Australia. In questo contesto particolarmente positiva è stata l’esperienza dell’Expo con molteplici iniziative divulgative per far conoscere agli stranieri le caratteristiche peculiari dei prodotti alimentari originali alle quali – conclude la Coldiretti –  si è aggiunto il piano per l’export annunciato dal Governo italiano che prevede, per la prima volta, azioni di contrasto all’italian sounding a livello internazionale.

L’obiettivo è ora di contrastare la presunzione statunitense di continuare a sfruttare impropriamente i nomi dei piu’ prestigiosi prodotti alimentari italiani, dal Chianti al Marsala ma anche Provolone o Parmesan nell’ambito del negoziato sul Transatlantic Trade and Investment Partnership, (TTIP), l’accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. In questo contesto si pone un evidente problema di tutela delle denominazioni dei prodotti Made in Italy sul mercato statunitense dove il cosiddetto fenomeno dell’Italian sounding vale 20 miliardi di euro, secondo la Coldiretti. Il 99 per cento dei formaggi di tipo italiano – conclude la Coldiretti – sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina.

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