Wwf, in Africa continua la strage di elefanti

Nell’aeroporto di Juba in Sud Sudan sono state sequestrate 1,2 tonnellate di avorio: una quantità che corrisponde alla drammatica uccisione di circa 120 esemplari.

“Sapevamo che il Sud Sudan fosse un paese di transito per il commercio illegale di avorio ma colpisce che un carico così grande sia passato indenne attraverso l’aeroporto di Entebbe in Uganda, da cui proveniva. Non è da escludere che il carico sia transitato grazie ad una rete di funzionari corrotti e complici. È sicuramente un sequestro eccezionale per un aeroporto”, ha dichiarato la responsabile conservazione del WWF Italia Isabella Pratesi.

Secondo il recente rapporto delle Nazioni Unite sul traffico di specie protette (UNODOC, 2016), gran parte dell’avorio trafugato viene imbarcato dai porti orientali del continente africano (principalmente il porto di Mombasa in Kenya e quello di Dar El Salam in Tanzania), a destinazione di Cina e altri paesi orientali. Purtroppo ancora oggi nonostante l’attivazione a scala globale e il grande sforzo collettivo solo il 10% dell’avorio viene sequestrato e sottratto al traffico criminale: il 90% arriva indenne a destinazione. Questo tragico sistema porta all’uccisione ogni anno di più di 30.000 elefanti: basti pensare che nel solo 2011 ne sono stati uccisi ben 37.000 in tutto il continente africano.

Nonostante gli appelli di Nazioni Unite e dei governi la strage degli elefanti, continua inesorabile. Le popolazioni di questo incredibile pachiderma unico per carisma, per intelligenza e per i servizi offerti nella rigenerazione delle foreste (gli elefanti sono cruciali per la germinazione e il mantenimento delle foreste tropicali) sono ormai ridotte al lumicino: in Africa resta solo il 10% degli incredibili branchi che un tempo attraversavano savane e foreste. Se infatti nell’800 veniva valutata l’esistenza di circa 5 milioni di elefanti, oggi ne rimangono, a mala pena, 450.000. Basti pensare che nella riserva di Selous, in Tanzania, dove una volta c’erano più di 100.000 elefanti oggi ne restano solo 15.000. La competizione per spazi e habitat ma soprattutto la fame di avorio hanno trucidato generazioni di elefanti, costringendoli a vivere confinati in aree protette e avvicinando la specie al collasso ecologico. Ma neanche le aree protette riescono a garantire un futuro agli incredibili pachidermi: le stragi sono opera di piccoli e grandi eserciti di bracconieri, capaci di attaccare dal cielo con elicotteri e mitragliatrici e da terra con fuoristrada, trappole e kalashnikov: tutte arme rifornite da un fiorente mercato di armi.

Si tratta di una vera e propria guerra dichiarata agli elefanti che arricchisce ogni anno uno dei mercati illegali più floridi al mondo (il commercio di fauna selvatica ha un valore di circa 23 miliardi di dollari l’anno) e impoverisce drammaticamente paesi e comunità locali.

La responsabilità della tragica fine degli elefanti non è solo dei bracconieri ma anche di un’estesa rete di corruzione. In Tanzania, dove in pochissimi anni è stato trucidato più del 50% degli elefanti, la corruzione ha aperto le porte ai bracconieri: gran parte degli elefanti è stato infatti ucciso all’interno di due aree protette.

Secondo la Frankfurt Zoological Society solo nel parco di Selous negli ultimi 4 anni è stato ucciso il 67% degli elefanti, trasformando il parco in un vero e proprio campo di sterminio. L’aumento del bracconaggio agli elefanti è stato talmente crudo e intenso negli ultimi anni da far sorgere il dubbio che possa essere legato unicamente alla richiesta per beni di lusso e artigianato. Non a caso il recentissimo Report dell’Ufficio Drugs and Crime delle Nazioni Unite, ipotizza che l’avorio possa esser diventato un bene “rifugio” su cui investire e speculare a prescindere dal suo immediato utilizzo. Ogni grosso sequestro di avorio conferirebbe drammaticamente ancora più valore commerciale agli ultimi elefanti rimasti. “Se questo fosse vero dovremmo trovare al più presto nuovi strumenti e nuovi alleati per combattere questa orribile deriva degli investimenti e della finanza globale”, conclude Isabella Pratesi.

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