C’era una volta la “minoranza” rumorosa. Al matrimonio di Brunetta risponda il Grande capo indiano

Al di la del fatto che a quei tempi, si era alla metà dei ’60 e in Italia c’era ancora il più grosso Partito Comunista dell’occidente, che difendeva tutti i movimenti, anche quelli delle “cause perse”; la funzione della “minoranza” rumorosa era quello di far “rumore”, appunto, quanto più fosse possibile farne così che, gli indecisi – quelli della “maggioranza silenziosa” – assumessero posizione con loro ovvero, rimanessero “silenziosi” al punto da convincere i “governanti” che le posizioni espresse in piazza rappresentassero il “comune sentire” della maggioranza della “Pubblica Opinione”.

Il  “gioco” fu presto scoperto anche se, per fortuna, è durato ancora qualche anno grazie a qualche genio della DC (chi ricorda un certo Amintore Fanfani) che, nel frattempo, decise di andare a “vedere” le carte, proprio nel momento in cui del bluff non c’era assolutamente bisogno.  Scommise, così, su un referendum contro la legge sul divorzio e perse. Perse così tanto che fu costretto a dimettersi – se si eccettua dall’anagrafe – da tutto il resto. Segreteria del Partito compresa.

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e la “maggioranza silenziosa”, titillata da più parti, anche dagli eredi del PCI, (anche se loro fanno di tutto per negarne addirittura le ascendenze e le contiguità), ha imparato – nonostante Fanfani – a far pesare le sue posizioni. Riuscendoci, almeno fino allo scorso Referendum e, semplicemente, avvalendosi della “facoltà di non rispondere”, o meglio, di non partecipare.
Il risultato è stato che, per anni, la minoranza silenziosa ha dovuto lavorare “underground”: sotto traccia, in sordina. Manifestando, cioè, il proprio pensiero – anacronisticamente – in piccoli gruppi, nella ristretta cerchia di piccoli cenacoli iniziatici che sono riusciti, comunque, nel tempo, nonostante il potere martellante dei media blasonati, a conquistare, almeno così sembrerebbe dopo i risultati degli ultimi Referendum, il diritto a rappresentare la “maggioranza”, non si quanto rumorosa.

Sorge, a questo punto, in seno – almeno – ai più saggi del Movimento l’interrogativo: “battere il ferro finché è caldo e cogliere ogni occasione, attraverso qualsiasi mezzo, per fare contro informazione” oppure “cesellare gli interventi e continuare a rappresentare, con cautela solo “le cause giuste”.
Andare, cioè, rovinare la festa di matrimonio del ministro Brunetta quando, domenica prossima, a Ravello, impalmerà la signora Titti Giovannoni. Oppure, come affermano quelli del gruppo “Ballata dei Precari”, lasciarli cuocere nel loro brodo perché, “continuare a insultare il ministro Brunetta non serve a nulla. Anzi, ci fa solo del male perché – come dice l’esperta di comunicazione (precaria) Silvia Onegli –  mugugnare, insultare e lamentarci non serve a farci avere un contratto migliore. Meglio – conclude la Onegli (e noi con lei) – le grandi manifestazioni, come sta accadendo in Spagna”.
Non compete, ovviamente, agli osservatori come noi siamo (per quanto militanti), l’onere della scelta. Eppure ci chiediamo: “Cosa sposterebbe, in termini di simpatie aggiuntive per il Movimento, disturbare il “giorno più bello” del ministro – già ampiamente insultato dai suoi “amici e contigui” – che, definendo i precari: “L’Italia peggiore”, ha profondamente connotato se stesso?
Secondo noi, nulla! Anzi, forse, alienerebbe simpatie tra i più moderati della precaria,  nuova “maggioranza” ancora troppo silenziosa.
Per questo motivo, anche per non contraddire lo spirito della nostra rubrica, alla notizia del matrimonio del ministro Brunetta, parafrasando il grande capo indiano, noi risponderemmo: “Estiqaatsi!!!”.

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