Iraq. Si rischia una catastrofe umanitaria

BAGHDAD – “Non fa differenza da un punto di vista umanitario se il leader di Daesh, Abu Bakr al-Baghdadi, sia o meno nella città di Mosul: il vero dramma è la gente che soffre, con o senza la sua presenza”.

A sottolinearlo è Giulia Cappellazzi, capo missione di ‘Un ponte per…’ in Iraq, che raggiunta al telefono dall’Adnkronos, descrive una situazione a “rischio catastrofe umanitaria”. Lì, dove il fronte è caldo vi sono persone bloccate a Mosul, nei villaggi appena liberati ci sono “vittime di violenza”. Persone, precisa Cappellazzi, “con ferite fisiche e psicologiche che si portano addosso e che necessitano di supporto psicologico” al pari di bisogni primari come acqua, cibo, medicine, un caravan dove dormire per ripararsi dal freddo. “Altra emergenza che stanno affrontando attualmente i tanti sfollati “. “La fuga dei civili da Mosul è cominciata a giugno scorso, da quando sono state intensificate le operazioni militari per liberare la città: da allora si contano circa 180.000 sfollati. Solo dal 17 ottobre, con l’offensiva delle forze irachene, sono 18.000 le persone uscite da Mosul. Si stima, tuttavia, che il numero degli sfollati possa sfiorare il milione. E questo segnerebbe forse la più grossa catastrofe umanitaria dell’anno”, afferma il capo missione di ‘Un ponte per…’ in Iraq.   

‘Un ponte per…’ e le altre ong che operano all’interno del Paese “stanno monitorando la situazione. Vero è che il cambio continuo della linea del fronte crea nuove esigenze, nuovi bisogni. I nostri team si muovono all’interno delle aree più sensibili raggiungendo anche i campi profughi più remoti”. Come nel campo profughi di Dibaga: “al momento sta accogliendo un grande numero di sfollati, siamo lì presenti con un progetto di sostegno psicologico in particolare nei confronti dei più vulnerabili, come bambini, adolescenti e ragazzi. Siamo lì per informare ma anche per portare le cure necessarie”, sostiene Cappellazzi.

I team di ‘Un ponte per…’, tra personale specializzato e sanitari, sono formati dalle 20 alle 50 persone. “A seconda della necessità, operano in modo diverso in campi diversi. Specie nel governatorato di Erbil, con programmi di assistenza per le donne e informazione sulla salute”, spiega Cappellazzi. A disposizione, inoltre, una clinica mobile in caso di emergenze. E in vista della liberazione di Mosul, conclude, “bisogna cominciare da subito a lavorare sulla riconciliazione e il dialogo. Questo è un lavoro assolutamente necessario per il futuro del Paese e la sua ricostruzione”.  

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