Clima: Cop 22 chiude, le paure restano

Appello al nuovo presidente americano, Donald Trump: non faccia carta straccia degli impegni presi a Parigi dagli Stati Uniti un anno fa contro il cambiamento climatico, si e’ chiusa la conferenza Onu sul clima di Marrakech, la COP22

MARRAKECH (MAROCCO)  – Quello di Marrakech era il primo importante incontro sul clima dopo lo storico accordo di Parigi e il Paese che il prossimo anno guidera’ i negoziati, le isole Fiji -le cui coste sono direttamente minacciate dall’aumento del livello dell’oceano- hanno espressamente chiesto agli Usa di non tirarsi indietro e lavorare per “evitare la catastrofe”. 

Il premier, Frank Bainimarama, ha rivolto un appello diretto al popolo americano: “Noi nel Pacifico, insieme al resto del mondo, guardiamo all’America per la sua leadership e l’impegno sul cambiamento climatico esattamente come guardavamo agli Stati Uniti negli anni bui della II Guerra Mondiale. Dico al popolo statunitense,  cosi’ come ci salvaste allora, e’ arrivato il momento di aiutarci ora”. Le isole Fiji presiederanno la conferenza sul clima dell’anno prossimo, che si terra’ nella sede permanente, a Bonn, in Germania. Ugualmente rivolto agli Usa l’appello del presidente dei negoziati a Marrakech, il ministro degli Esteri marocchino. Idealmente rivolto al nuovo ‘commander in chief’, che considera il cambiamento climatico una “bufala inventata dai cinesi per minare la competitivita’ dell’industria americana”, il ministro Salaheddine Mezouar ha fatto un appello al “pragmatismo” dell’uomo d’affari: “Il messaggio della COP al nuovo presidente americano, Donald Trump, e’ semplicemente dirgli ‘noi contiamo sul vostro pragmatismo e sul vostro spirito di impegno'”. 

Lo scorso dicembre a Parigi, firmando lo storico accordo dopo anni di negoziato, quasi 200 Paesi si sono fissati come obiettivo di contenere il rialzo del termometro mondiale “ben al di sotto di 2 gradi centigradi” e di aumentare l’impegno di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, attualmente insufficienti per rispettare quel limite. Diplomatici e attivisti erano arrivati a Marrakech con l’obiettivo di rafforzare l’accordo e lavorare a un taglio delle emissioni in modo da mantenere il surriscaldamento sotto l’1,5 gradi Celsius. Il risultato dell’elezione americana, due giorni dopo l’inizio dei lavori, ha fatto calare il gelo sulla riunione. Scioccata, la delegazione americana, che a Parigi era stato il motore trainante, si e’ trovata azzoppata: in una conferenza stampa il 12 novembre, ai giornalisti che chiedevano cosa succedera’ ora, Catherine Novelli, sottosegretario d Stato per Energia ed Ambiente, ha risposto sconsolata: “Possiamo solo fare ipotesi; e posso dirvi quella che e’ la situazione attuale”. Il prossimo anno la delegazione americana a Bonn sara’ scelta dall’amministrazione Trump. 

LE RESPONSABILITA’ 

Gli Usa sono responsabili da soli del 20 per cento di tutte le emissioni totali di gas serra, secondi solo alla Cina; e si sono impegnati a versare circa 3 miliardi di dollari al Green Climate Fund, il fondo creato ai negoziati di Cancun per abbattere le emissioni nei Paesi in via di sviluppo (ma finora hanno versato solo 500 milioni). Se si tirassero indietro adottando scelte che impediscano di centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni indicati al momento dell’accordo (per esempio, con un rilancio dell’industria del carbone), il ‘peso’ di dover fronteggiare il cambiamento climatico rimarrebbe alla Cina, che se ne potrebbe giovare per aumentare il suo ruolo nello scacchiere mondiale. Tanto la Cina che l’India a Marrakech hanno ripetuto il loro impegno, a prescindere dal coinvolgimento americano. Mercoledi’ in un discorso andato avanti per 40 minuti in cui non ha mai citato Trump, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha detto che “nessuno ha il diritto di prendere decisioni che riguardano miliardi di persone basandosi solo sull’ideologia e senza un adeguato ‘input'”. Fallire sarebbe “un fallimento morale, un fallimento con conseguenze devastanti”. 

Il vertice si e’ concluso innanzitutto con una dichiarazione di sostegno all’accordo di Parigi; e l’approvazione di un documento che segna i primi passi nella redazione del regolamento che sostanziera’ l’Accordo di Parigi e che dovra’ essere concluso nel 2018, due anni prima che l’accordo cominci a funzionare. L’altro ‘nodo’ delicatissimo era il finanziamento, vero punto di snodo della lotta al surriscaldamento. I Paesi piu’ sviluppati, e piu’ inquinanti, si erano impegnati nel 2009 a Copenaghen a versare 100 miliardi di dollari fino al 2020 per i Paesi in via di sviluppo in modo da aiutarli a far fronte all’impatto. La somma e’ ben lungi dall’essere sufficiente. A Marrakech i Paesi ricchi si sono impegnati ad aumentare progressivamente, dopo il 2020, la cifra annuale. Alcuni tra i Paesi piu’ poveri del mondo hanno anche annunciato di voler andare verso il 100% di ‘green economy’: il Climate Vulnerable Forum ha reso noto che 47 Paesi membri, tra cui Bangladesh, Etiopia e Yemen, raggiungeranno l’obiettivo tra il 2030 e il 2050.  

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