Sclerosi Multipla, sul ruolo della CCSVI continua il dibattito a colpi di studi

Dagli Usa e dalla Polonia alcuni studi sostengono Zamboni, ma l’attesa maggiore è per i risultati di Brave Dreams, il trial multicentrico che prevede l’arruolamento di 600 pazienti

ROMA – La domanda ormai tiene banco da tempo: la CCSVI – Insufficienza venosa cronica cerebrospinale è o non è correlata alla Sclerosi Multipla? In parole povere, andando a rimuovere chirurgicamente questa insufficienza venosa si ‘cura’ la malattia o si hanno almeno risultati migliori di quelli dati fino ad oggi dai farmaci? E quale è il procedimento giusto da seguire per ridurre al minimo i possibili effetti collaterale di quello che è pur sempre un intervento chirurgico? Stiamo parlando chiaramente del dibattito sul ‘Metodo Zamboni’ così chiamato dal nome del prof. Paolo Zamboni di Ferrara che per primo ha teorizzato questo legame e proposto di intervenire nei pazienti con il metodo dell’angioplasica dilatativa (PTA), che andrebbe naturalmente fatto secondo precisi criteri e metodi che Zamboni ha sempre sottolineato. Sulle risposte pazienti e medici si dividono, c’è chi ne sostiene la fondatezza e invoca che siano avviate più sperimentazioni anche in Italia, chi rimane dubbioso e chi invece si oppone. Il dibattito coinvolge anche i ricercatori di tutto il mondo, e lo si vede chiaramente dal fiorire di studi volti a provare o confutare questa correlazione, a mettere in luce eventuali benefici così come gli effetti collaterali, quasi una guerra a colpi di studi e non possa settimana senza che ce ne sia uno nuovo o senza che arrivi la notizia di un qualche trial clinico pronto a partire.

La scorsa settimana, ad esempio, noi stessi abbiamo dato notizia di un articolo canadese, pubblicato sul  numero di settembre del Canadian Journal of Neurological Sciences, che metteva in guardia i pazienti dai ‘viaggi della speranza’ verso paesi dove questi venivano operati all’aorta ma con metodi non noti, spesso con l’uso dello stent – cosa che invece è sconsigliata da Zamboni, così come ha sempre scoraggiato il turismo sanitario e si batte per studi eticamente protetti nel Paese di appartenenza. Insomma, anche nel definire che cos’è questo metodo Zamboni si sente una certa necessità di chiarezza, proprio per non lasciar spazio a chi propone soluzioni apparentemente simili ma che, invece, possono essere seriamente dannose per la salute di chi vi si presta. 

A seguito della pubblicazione di questo studio molte associazioni – come ad esempio l’associazione CCSVI nella SM –  ci hanno inviato i loro materiali, e altri ce ne sono poi arrivati dai ricercatori.  Uno di questi, favorevole al Metodo Zamboni è stato condotto dal team del medico ferrarese e da quello di Robert Zivadinov a Buffalo (Usa) e pubblicato sull’European Journal of Vascular and Endovascular Surgery. Lo studio, in sostanza, conferma che la PTA – Percutaneous transluminal angioplasty, se fatta secondo tutti i criteri indicati, è sicura e può dare benefici alle persone con SM. 
Ed è in base a questo studio che le associazioni che sostengono al correlazione SM – CCSVI hanno affermato che “aspettare ancora per dare il via a studi di trattamento è colpa grave. Non garantire fondi alle sperimentazioni terapeutiche è responsabilità altrettanto grave.

 

I 60.000 malati di sclerosi multipla in Italia non possono e non vogliono più aspettare. Il tempo è loro implacabile nemico”.    Certo, si tratta di uno studio piuttosto esiguo numericamente, con solo 15 pazienti – operati a Ferrara e poi osservati a Buffalo –  ma, in fondo, lo stesso si può dire anche dello studio Canadese pubblicato qualche giorno prima (solo 5 pazienti addirittura) e così anche dello studio condotto a Padova, con 35 pazienti e che confuta l’esistenza della correlazione tra sclerosi multipla e CCSVI.

I 15 pazienti dello studio Ferrara – Buffalo erano stati divisi in due gruppi misti: il primo gruppo (ITG) è stato operato subito, il secondo (DTG) dopo sei mesi. Tutti hanno continuato a prendere i farmaci abituali. Sono stati poi confrontati tutti i pazienti nei secondi sei mesi (follow up di 12 mesi), quando entrambi i gruppi erano stati operati. Infine si sono confrontati tutti i pazienti con quello che era il loro stato l’anno precedente, prima dell’angioplastica. I risultati hanno dimostrato che la disabilità migliora con l’intervento.  Nei pazienti ITG, operati subito, nei primi sei mesi ci sono state meno ricadute. Dopo l’intervento i DTG non avevano più maggiori ricadute rispetto agli ITG, confermando l’effetto protettivo della PTA sui relapses. Il carico di lesioni cerebrali in T2 misurato con risonanza magnetica nei primi 6 mesi, negli ITG (dopo l’intervento) è diminuito del 10 per cento mentre nei DTG (non ancora sottoposti all’intervento) è aumentato del 23 per cento. Dopo l’intervento, nei secondi sei mesi, il carico lesionale nei DTG si è stabilizzato. Il tutto senza complicazioni e trombosi e con una percentuale di restenosi del 27 per cento.

 

Tra le conseguenze registrate, il gruppo ITG ha avuto un effetto di riduzione del volume cerebrale più marcato dei DTG, per un verosimile effetto antiedema e antinfiammatorio dell’angioplastica. 
“Il nostro è un grande contributo alla letteratura scientifica – ha affermato Zivadinov in un’intervista -. In molti si sono opposti alla pubblicazione di questo studio perché molto piccolo. Il nostro obiettivo, però, è quello di arrivare a una conclusione. Questo momento è estremamente paradossale…mentre aumentano incredibilmente le pubblicazioni contro la CCSVI,  risulta difficile pubblicare, su riviste scientifiche rispettabili, studi con risultati positivi. La nostra collaborazione col prof. Zamboni vuole trovare la verità e le nostre ricerche stanno andando nella giusta direzione”. 
Così il Dipartimento di Neurologia e neurochirurgia di Buffalo ha anche annunciato che ci sarà presto un altro studio su 30 pazienti, randomizzato in doppio cieco allo scopo di valutare anche l’effetto placebo.
Ma anche a Ferrara il dottor Zamboni prepara un nuovo studio, multicentrico, si chiama Brave Dreams – Brain Venous Drainage Exploited Aganist MS e prevede il coinvolgimento di ben 600 pazienti al fine di verificare la sicurezza e l’efficacia della PTA per la CCSVI e la SM . Si prevede che nell’arco del 2012 si dovrebbe avere la risposta e su questo certamente c’è grandissima attesa.     

Ma la guerra a colpi di studi non si ferma perché proprio in questi ultimi giorni a dare man forte al metodo Zamboni è arrivato un nuovo studio che viene dalla Polonia, pubblicato sulla rivista polacca Phlebological Review. Qui si conferma la  correlazione tra la Sclerosi multipla e l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI).

 

I ricercatori polacchi hanno sottoposto a trattamento endovascolare 94 pazienti con Sclerosi multipla. Dopo un follow-up durato sei mesi è stato riscontrato nei pazienti trattati un miglioramento dei sintomi della Sclerosi multipla, della fatica cronica e del sonno. Secondo gli autori dello studio questi risultati preliminari confermano pertanto le scoperte fatte negli studi precedenti con effetti positivi del trattamento endovascolare per patologie venose nei pazienti con Sclerosi multipla.
E mentre sostenitori e detrattori del metodo Zamboni si sfidano a colpi di studi c’è anche chi tenta altre strade, dalla ricerca farmacologica, con il continuo avvio di nuovo trial clinici, alla ricerca di base per scoprire i meccanismi di base della malattia ancora in parte ignote fino a chi, nel nostro Paese, tenta la strada del trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
Nonostante l’asprezza delle polemiche, che spesso fanno più male che bene per la corretta informazione e la serenità dei pazienti, tutto ciò dimostra che la ricerca si sta muovendo e lascia ben sperare per il futuro.

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