Nave Concordia. L’odissea di un naufragio. LA LETTERA

ROMA – Pubblichiamo una lettera giunta alla nostra redazione nella quale emergono le  impressioni personali di Vladimiro Tuselli, capitano di lungo corso, sul tragico naufragio della Costa Concordia avvenuto il 13 gennaio scorso davanti all’Isola del Giglio. 

L’11 agosto del 2007 Tuselli era uno dei piloti del porto di Trapani e fu il primo ad accorgersi di quanto accadde all’aliscafo “Giorgione” della Siremar, che si era schiantato sulla diga foranea. A bordo vi erano 181 passeggeri, molti dei quali – raccontano le cronache –  furono portati in salvo dal Tuselli che aveva raggiunto il luogo dell’incidente con la sua pilotina.

LA LETTERA
Ormai è storia. Il nostro tempo è invaso dai giochi elettronici, è avvolto dalla “rete“ che ci ha catturato come un branco di pesci, facendoci  perdere l’orientamento. L’istinto di conservazione è il primo a essere mutato geneticamente. Lì, nella “rete”, è facile morire, ritornare in vita e ripresentarsi più forti di prima. E’ meglio forse essere più tradizionalisti e ricordarsi della vita come una sola e che non esistono rinascite terrestri, non per contraddire il “popolo della rete” ma solo per non avere un impatto violento con la realtà. Presto detto.

Improvvisamente in un giorno di Gennaio ci affacciamo alla finestra e non crediamo ai nostri occhi: un naufragio!  A quel punto passano in secondo piano: il pc, i gioielli, l’obiettivo aziendale, gli sms all’amante; tutto ritorna al tempo delle caverne, primario è salvarsi, fuggire dal bestione che fino a pochi minuti prima era la culla da sogno e che ora rischia di trasformarsi nel boia esecutore di uno sterminio di massa.

Anche la tv di fronte al naufragio si sofferma, il valore della vita supera e mette  in secondo piano per alcuni giorni  lo spread, la crisi, la disoccupazione, i tassisti, e i reality show .
Io un naufragio l’ho vissuto, sì, quando ero pilota del porto ho soccorso i passeggeri di un aliscafo che si era schiantato sugli scogli a tutta velocità. Ho visto la paura scritta sul volto di quelle persone che in una serata d’estate hanno pensato di morire, senza capire perché tutto ciò stesse accadendo. Ogni persona che lavora su una nave non pensa di morire, non imbarca pensando che possa accadere e allora ci si chiede perché? Perché a causa di una disattenzione dobbiamo morire? Nessuno ci saprà rispondere, ma speriamo non succeda più! Allora si lavora per evitare che l’ufficiale di turno sulla plancia conduca la nave contro un iceberg, o che entri in collisione con un’altra nave e magari prenda fuoco! Ma questa volta no, questa volta non era neppure un imprevisto, si poteva evitare, prevenire. A cosa servono questi inchini? Viene difficile lo so ma proviamo a inchinarci al Dio denaro per una volta, qualcuno può spiegarci quale ritorno economico può avere la Costa Concordia passando di notte, mentre i passeggeri cenano, vicino a un’isola che in pieno inverno non registra nessun turista?

Da uomo “del mestiere” rimango triste di fronte a tante accuse lanciate come bombe al fosforo che incendiano la categoria ma che cadono solo sulla testa del Comandante Schettino, invece di essere sparse con cautela sui vari responsabili dell’accaduto. Questa lettera non è rivolta a Schettino, è rivolta ai parenti delle vittime e dei dispersi che hanno il diritto di sapere perché.
Queste persone hanno il diritto di formulare delle domande, alle quali i responsabili devono dare delle risposte. Imbarchiamo allora questi parenti sulla gemella della Concordia e rifacciamo il viaggio maledetto.
Arrivati al Giglio, sul ponte di comando ci saranno anche loro vicino al comandante Schettino, cosi magari la mamma della bimba ancora dispersa potrà chiedergli se è vero che in quel libro che si chiama “istruzioni al comandante” (almeno quando andavo io per mare si chiamava cosi) e che dovrebbe essere la bibbia della nave in cui disegni e diagrammi  riportano i tempi di arresto e le curve di evoluzione in base alle quali il comandante sa che a quella velocità passare anche  a mezzo miglio da qualsiasi linea costiera è un atto irresponsabile: può accadere  infatti di essere vittima di un avaria al timone e la nave decida da sola di dirigere verso la costa e non ci sono i tempi materiali per arrestarne l’abbrivio. Sullo stesso ponte di comando mettiamoci anche un comandante di una Capitaneria che dovrà confermare tutto ciò alle richieste dei parenti delle vittime. E allora perché le autorità non obbligano le navi ad affrontare gli inchini come manovre di atterraggio, con velocità ridotte e attenzione alla manovra in sala macchine? Anche perché gli esempi li abbiamo, a tutti ormai risulta che l’inchino avviene puntualmente nei pressi di Sorrento, anche li è accaduto che una nave abbia urtato uno scoglio e si sia diretta a Palermo in bacino per riparazioni con tutti i passeggeri a bordo!

Ma, ritornando al Giglio, ormai è tardi abbiamo urtato… Sia forte signora rimanga li, anche se il comandante Schettino ha sbagliato e pagherà per questo, lei resti lì vicino, ascolti le telefonate  che intercorrono con il rappresentante della società armatrice e tenti di capire se qualcuno sta suggerendo con aria suprema  al comandante di tentare di arrivare in qualche porto oppure dare l’eventuale abbandono nave solo se strettamente necessario. Un abbandono nave costa un sacco di soldi e il pallottoliere gira, calcola, arrivano gli incubi dei risarcimenti per danno da vacanza rovinata che oggi va tanto di moda e che negli Stati Uniti prevede risarcimenti elevati.

Che notizie arrivano dai sopralluoghi? Quanti compartimenti allagati ha la nave? Signora faccia di tutto per saperlo, perché il Comandante sicuramente ha studiato che per una nave di quel tipo se i compartimenti allagati sono 2 o 3 (senza approfondire troppo sulle carte di bordo) allora è meglio non perdere tempo. Penso che il Comandante il quel momento sia impegnato a difendersi dalle parole convincenti di qualcuno che sta dietro una scrivania e ragiona con la calcolatrice.
Alla fine però la nave ferita al ventre non c’è la fa e si accascia. Non può più fare il suo dovere di città sicura e galleggiante, sogno di molti, luogo di lavoro per altri, immagine di una gloriosa marineria per noi uomini di mare che del mare  abbiamo fatto motivo di vita, lontani dal pensare alla morte o all’incidente.

Il panico ha preso il sopravvento, il Comandante dopo aver dichiarato l’abbandono nave finisce per abbandonarla prima che si accerti che tutti siano sbarcati, salvandosi la pelle ma non la vita, quella rimarrà è vero, ma per sempre rinchiusa nell’incubo della vergogna, del gesto ignobile, della condanna penale. Tutto meritato è vero ma diamo a Cesare quel…..e allora permettetemi di dire che ” torni a bordo! Cazzo!” è  una frase figlia di se stessa. Se il Comandante dichiara l’abbandono nave è perché ritiene la stessa un pericolo per l’incolumità delle anime presenti a bordo, quindi rimandare una persona a bordo di una nave nella fase del suo abbandono, oltre ad intralciare le operazioni di sbarco poste in essere attraverso quella benedetta biscaglina potrebbe mettere a rischio una ulteriore vita umana. Forse quella notte bastava chiedere: “il più alto in grado rimasto a bordo chi è”? Quello avrebbe assunto il comando, per quanto restava da comandare, ovviamente, ma certamente non avrebbe agevolato nessuno  mettersi a contare le persone, distinguendo in donne bambini e quant’altro. In quella situazione si deve solo abbandonare la nave! I conteggi facciamoli a terra!

Signori parenti delle vittime e dei dispersi, molti colleghi del mare piangono per questa tragedia, commossi dalla rabbia di non poter essere stati li al posto di chi si inchina a non si sa che, loro che da ragazzi sognavano di partire e quando entravano in una stazione marittima di vecchia costruzione nell’immaginare personaggi del passato fregiati di  antiche divise che erano pronti a salire sui transatlantici traghettatori di speranza o semplice divertimento, si commuovevano. La ferita di quella nave per loro è un tonfo al cuore, che non è  comunque paragonabile al vostro immenso dolore. Perdonateli per non essere stati lì quella maledetta notte.

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