La sindrome dell’X fragile

ROMA – La sindrome dell’X fragile, assieme a quella di down, rappresentano in Italia le due principali cause di ritardo mentale. Tuttavia quella dell’X fragile è meno nota ed è oggetto di intensi studi scientifici. Ci troviamo di fronte ad una rara malattia genetica, la cui casistica clinica riguarda un bambino maschio ogni 4000 nati e una bambina ogni 6000.

Una grave malattia le cui origini, come spesso accade per le patologie di natura genetica, sembrerebbe essere frutto di un’assurda bizzarria della natura, causata dalla mutazione di un particolare gene presente sul cromosoma X, chiamato FMR1, che codifica per la proteina FMRP (Fragile X Mental Retardation Protein). Essendo, com’è noto, il cromosoma X uno dei due cromosomi umani determinanti il sesso, la malattia si trasmette differenzialmente in base al sesso. La complessità genetica di tale sindrome risulta però legata anche al tipo di mutazione del gene FMR1.

La mutazione consiste nella ripetizione di una determinata sequenza del gene. Le sequenza incriminata è una tripletta CGG, ossia le basi strutturali che compongono il DNA. Ad oggi di questa sequenza si conosce l’ubicazione all’interno del gene, l’esatta posizione lungo il cromosoma X e parte del meccanismo responsabile dell’inattivazione del gene. Circa il 90% dei pazienti hanno la tripletta CGG ripetuta oltre 200 volte rispetto al gene normale. Tale ripetizione, denominata in termini genetici espansione, causa una modificazione chimica del gene FMR1, chiamata ipermetilazione, in grado di portare alla completa inattivazione del gene con blocco della produzione della proteina da esso prodotta (FMRP). Ripetizioni in numero minore possono essere asintomatiche, in questo caso ci troviamo di fronte a un soggetto definito portatore dell’X fragile. Generalmente i bambini affetti da sindrome del cromosoma X fragile mostrano livelli di ritardo mentale variabili. Una sintomatologia che va da capacità cognitive quasi del tutto normali a gravi forme di ritardo mentale. Gli individui affetti mostrano peculiari caratteristiche fisiche: fronte e mandibola prominenti, viso allungato e stretto, scoliosi, piedi piatti, orecchie grandi e più basse della media e, nel 90% dei maschi, ingrossamento dei testicoli.

L’X fragile è inoltre spesso associato ad autismo o a comportamenti generalmente riscontrati nell’autismo: avversione al contatto fisico, iperattività, comportamenti stereotipati come battere le mani o evitare lo sguardo diretto dell’interlocutore. È inoltre ben documentato un rallentato sviluppo del linguaggio durante la crescita. Una ricerca americana pubblicata lo scorso ottobre  sulla rivista Journal of Neurodevelopmental Disorders ha esaminato i ruoli della memoria fonologica e la “memoria di lavoro” (un sistema per l’immagazzinamento temporaneo e immediata gestione/manipolazione dell’informazione) sulla predizione di crescita del vocabolario ed utilizzo della sintassi negli individui affetti da sindrome dell’X fragile durante l’adolescenza. Lo studio, condotto su 44 individui di entrambi i sessi e dall’età media di 13 anni, ha evidenziato che solo nei maschi affetti la memoria fonologica e quella di lavoro possono predire l’acquisizione del vocabolario e l’utilizzo della sintassi nell’apprendimento adolescenziale.

Durante lo sviluppo embrionale la complessa costruzione della rete neuronale del cervello richiede il corretto assemblaggio di trilioni di connessioni sinaptiche. La sinapsi è quello spazio che intercorre tra un neurone ed un altro, in grado di mantenere la continuità di trasmissione di un segnale tramite il passaggio di molecole chiamate neurotrasmettitori. Un ruolo fondamentale durante lo sviluppo di tutta questa complicata architettura è dovuto alla sintesi di opportune proteine e a particolari classi di RNA, uno fra tutti l’RNA messaggero. In tal senso, il gene FMR1 giocherebbe un ruolo chiave nell’orchestrare questa complessa serie di eventi. Una sua mutazione in fase di sviluppo embrionale causerebbe un inesorabile serie di alterazioni “strutturali” compreso un forte ritardo nella maturazione delle sinapsi.

Un importante contributo verso la comprensione di tali meccanismi va attribuito ad apprezzati studi preclinici condotti da vari gruppi di scienziati statunitensi ed europei. La ricerca in campo genetico-molecolare ha fatto negli ultimi anni notevoli passi in avanti. Molto resta però ancora avvolto nel buio. La patologia oggi, basata sull’osservazione clinica e confermata geneticamente dalla presenza della forma mutata per il gene dell’X fragile, è facilmente diagnosticabile anche in fase prenatale oltre la dodicesima settimana. Un’opportunità in più è poi offerta dalla diagnosi genetica pre-concepimento destinata alle coppie portatrici della sindrome dell’X fragile. Tale analisi permette di effettuare il test direttamente sull’oocita prima della fecondazione da parte dello spermatozoo, in accordo con la Legge 40/2004.

Ciò che rimane ancora da capire, anche in considerazione di un possibile spiraglio terapeutico, sono parte dei complicati meccanismi biologici responsabili dell’insorgenza della patologia. Le ragioni molecolari che portano a determinate alterazioni in fase di sviluppo neuronale. Ad oggi per questa complicata sindrome genetica non esistono ancora terapie risolutive. Quello che si tenta di fare è migliorare la qualità della vita del paziente accompagnando la somministrazione di psicofarmaci a terapie di supporto riabilitative di tipo fisico e psicologiche. Una buona assistenza psicopedagogica infatti, specie se precoce, permette al bambino di migliorare sensibilmente le sue potenzialità e il rapporto con gli altri.

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