Sindrome Alport, al Bambino Gesù di Roma l’unico centro di riferimento italiano

Intervista a Laura Massella, pediatra nefrologo presso l’U.O. di nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

ROMA – Da poco è nata in Italia Asal Onlus la prima associazione che si occupa in maniera specifica di una rara malattia nefrologica, la sindrome di Alport (Alport Syndrome). Oltre al coinvolgimento renale, presente in tutti i pazienti affetti, questa sindrome può causare anche sordità e problemi oculari.

Per capire meglio la malattia, l’Osservatorio Malattie Rare ha intervistato la dottoressa Laura Massella, pediatra nefrologo presso l’U.O. di nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, principale punto pediatrico di presa in carico medica e diagnostica in Italia per questa malattia. La dottoressa Massella svolge ricerche su questa malattia da molti anni e ha fatto parte dalla équipe di esperti italiani che nel 1991 avviarono lo studio Multicentrico Italiano sulla sindrome di Alport dopo l’identificazione dei geni coinvolti. “Lo Studio Multicentrico Italiano fu condotto in collaborazione con vari centri di nefrologia in tutta Italia (l’Ospedale Bambino Gesù ne coordinò la parte pediatrica, il Dott. A. Sessa di Vimercate (MI) la parte clinica dell’adulto, il Prof. M. De Marchi e la Prof.ssa A. Renieri di Siena si occuparono delle analisi genetiche), che mise in evidenza, tra le altre cose, come la diagnosi di sindrome di Alport fosse sottostimata, in particolare nei bambini; furono, infatti, identificate diverse mutazioni in soggetti che non soddisfacevano i criteri di diagnosi allora in uso e questo indusse a modificare la soglia di sospetto per questa patologia.”

“Si concluse quindi che – continua la Dott.ssa Massella – una microematuria persistente e significativa, presente già nei primissimi anni di vita, soprattutto in un soggetto maschio, deve sempre indurre a sospettare anche una Sindrome di Alport e,  più in generale,  un difetto della membrana basale glomerulare. Ricordiamo, infatti, che, oltre la forma X-linked (dovuta a mutazioni del gene COL4A5), che rappresenta circa l’80 per cento dei casi, esistono anche le forma autosomiche, legate a mutazioni dei geni COL4A3 e COL4A4,  recessive (le più severe) e dominanti (che possono oscillare dalla ematuria isolata e non evolutiva fino alla progressione verso l’insufficienza renale, seppure in modo molto più lento rispetto alle altre forme).”
Al momento, in Italia il test genetico viene svolto principalmente presso l’Ospedale Le Scotte di Siena, fino a poco fa era necessario molto tempo per il suo svoltgimento, perché i geni responsabili della malattia sono tutti molto grandi (50 ai 52 esoni). I recenti sviluppi tecnologici nel campo della biologia molecolare lasciano sperare che questi test saranno in un futuro molto prossimo disponibili in tempi molto più rapidi e con costi nettamente ridotti. (ndr – Pochi giorni fa l’Ospedale Senese ha annunciato l’arrivo di una nuova e più veloce macchina per la diagnostica – ndr. Clicca qui per la notizia)

Dottoressa partiamo dalla diagnosi, come si fa a raggiungerla?
“La storia familiare è sempre un punto importante da considerare, soprattutto in presenza di una storia di malattia che colpisce principalmente i soggetti maschi, ma viene trasmessa dalle femmine della famiglia (generalmente poco affette).  Questo tipo di trasmissione evoca una malattia legata al cromosoma X, ma non si deve dimenticare la possibilità di forme autosomiche ed anche che il 20 per cento circa delle forme legate alla X sono de novo, ovvero che il paziente che giunge all’osservazione è il primo soggetto affetto della famiglia, senza antenati affetti.

Ma un criterio ancora più importante, come dicevo prima, è la presenza di una microematuria (sangue microscopicamente presente nelle urine) nei primissimi anni di vita; in alcuni pazienti maschi con forma X-linked, sottoposti a questo esame nei nidi alla nascita, la microematuria era già presente.

In ogni caso, quando viene scoperta la microematuria, il pediatra di base, solitamente, prescrive una visita specialistica. Dopo la visita e la raccolta di una adeguata anamnesi familiare, in presenza di elementi suggestivi, viene avviato l’iter diagnostico più appropriato.  
In particolare, in presenza di un sospetto consistente per la forma legata al cromosoma X, è possibile fare diagnosi presso il centro dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, in collaborazione con il dipartimento di Patologia Sperimentale dell’Università la Sapienza di Roma, attraverso l’esecuzione di una biopsia cutanea. Questa indagine, estremamente semplice, può essere svolta ambulatorialmente, con una piccola anestesia locale, anche in età pediatrica. Questo, ovviamente, non esclude l’esame istologico del rene dall’iter diagnostico, che deve essere considerato ed eseguito ove necessario, né la diagnosi genetica, che viene richiesta in tutti i casi dubbi o se la famiglia stessa ne fa richiesta.
Tutto questo a significare che, mentre in alcuni casi la diagnosi è molto semplice e si risolve con  una semplice biopsia cutanea, in altri casi, quando non si tratta di una forma X-linked o quando i reperti sono sfumati e la storia familiare non aiuta, è necessario utilizzare più strumenti diagnostici per giungere alla diagnosi.  
La sindrome di Alport è inclusa nell’elenco attuale delle malattie rare esenti: si tratta di una cosa importante per il paziente e, anche per i familiari, perché consente loro di effettuare gratuitamente l’ indagine genetica, vista la trasmissione geneticamente determinata. 
Spesso le mamme o le nonne ricevono una diagnosi di certezza proprio dopo averci portato i loro figli, magari solo attraverso un piccolo prelievo di cute.”

E’ possibile anche fare una diagnosi prenatale?
“Sì è possibile, se si conosce la mutazione, presso istituti che offrono questo tipo di servizio (biopsia di villi coriali per analisi genetica).”

Cosa comporta avere questa malattia?
L’evoluzione dipende dal tipo di forma genetica da cui si è affetti e, nella forma X-linked, dal  sesso del paziente. La forma più diffusa, circa l’80 per cento dei casi, come dicevamo, è quella con trasmissione X-linked, legata a mutazioni del gene COL4A5. In questo caso, ad esserne colpiti in maniera più severa sono i maschi, la cui evoluzione renale giunge sempre alla necessità di dialisi e trapianto (il 75 per cento circa dei maschi prima dei 30 anni); nelle femmine, il quadro clinico è più attenuato e solo un 20 per cento di esse evolve verso l’insufficienza renale, difficilmente prima dei 40 anni.  
Nelle forme a trasmissione autosomica, il sesso è indifferente relativamente alla trasmissione e al grado di gravità della malattia: la forma recessiva è la più severa, con una evoluzione sovrapponibile, se non più rapida, del maschio con malattia legata al cromosoma X; quella dominante è più benigna e, quando evolutiva, solitamente è molto lenta nel tempo.

La sordità e i problemi oculari interessano tutti?

Mentre il danno renale è presente in tutti i pazienti affetti, i segni audiologici e oculari non lo sono. 
Il danno uditivo è rappresentato da una sordità neurosensoriale bilaterale e progressiva, che può giungere alla necessità dell’uso di protesi acustiche. Non sono riportate in letteratura esperienze ampie di impianto di coclea nei pazienti con Sindrome di Alport; siamo a conoscenza di esperienze aneddotiche con segnalazioni su singoli casi. Una precoce perdita dell’udito viene considerata come fattore prognostico negativo relativamente all’evoluzione del danno renale. L’incidenza dei danni a livello oculare, rappresentati prevalentemente da lenticono anteriore e macchie perimaculari retiniche, è più bassa di quella della sordità nelle diverse casistiche europee. 


C’è un registro nazionale che consente di dire quanti sono i casi diagnosticati?

“Un registro italiano della malattia attualmente non c’è. Esiste un registro Europeo al quale il nostro centro sta aderendo, cosa che non preclude la possibilità di sviluppare un registro italiano. 
Nel nostro Ospedale seguiamo attualmente più di 60 famiglie con sindrome di Alport, prevalentemente con forma X-linked, ma anche di tipo autosomico. Conosciamo, poi, altre famiglie, seguite presso altri centri, che abbiamo incontrato per essere sottoposte ad esami diagnostici o perché desideravano un secondo parere. 
Il registro consentirebbe di censire meglio la patologia ed anche di identificare aree a maggiore densità di pazienti affetti sul territorio nazionale, di stabilire correlazioni genotipo-fenotipo o fra evoluzione clinica e lesioni istologiche, di stabilire meglio la prevalenza dei sintomi extrarenali, le modalità di trattamento e così via.  Stiamo lavorando a tutto questo.

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