La Banda della Posta a Frammenti. Le Foto del soundcheck e del concerto

FRASCATI (ROMA) – C’era una volta un gruppo di amici che si ritrovava davanti alla Posta di  Calitri, un paese dell’Alta Irpinia. La leggenda dice che montavano la guardia all’ufficio postale per controllare l’arrivo della pensione e quando l’assegno arrivava tiravano fuori gli strumenti e si facevano una suonata.

E magari una suonata se la facevano anche nelle calde serate estive. La Posta alle spalle e la chiesa di Santo Canio di fronte che, con le sue scalinate, accoglieva gli ascoltatori.  Proprio lì li ha  trovati Vinicio Capossela cantautore e scrittore di origini calitrane nato in Germania. Tottacreta, Matalena, il Cinese, Parrucca e Rocco Briuolo, che ci ha lasciati da poco, sono il nucleo più antico della Banda della Posta. Suonatori abili e resistenti, testimoni dell’epoca in cui gli sposalizi duravano due giorni e si suonava anche dodici ore di seguito. “Cosa vuoi che sia un concerto di tre ore!” mi dicono nel backstage di Frammenti, manifestazione organizzata dall’Associazione Seminintesta a Frascati, dove si esibiranno tra poco. “Eppoi a tutto questo lusso – cena, albergo pagato e tecnici del suono che arrivano addirittura a inserirti il jack nella chitarra – non siamo proprio abituati! Quando facevamo gli sposalizi, negli anni ’50 e ’60, si mangiava e poi gli stessi tavoli diventavano il palco e noi sopra a darci dentro. Dovevamo legare ogni pezzo della batteria per evitare che camminasse mentre suonavamo. E dalle quattro del pomeriggio si andava avanti fino alle quattro del mattino.” Mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot: questo il repertorio della Banda che aveva il compito di far ballare per far digerire il pasto che tradizionalmente era composto da cannazze di maccheroni, vraciola con pisiegl, agnello con patate al forno, mandarini e frutta secca. E se vi sembra strano che si mangiasse frutta invernale non dovete stupirvi più di tanto che l’epoca di matrimoni, a quel tempo, erano i mesi invernali: “Novembre, dicembre e gennaio. I mesi in cui ci si riposava dai lavori nei campi. Poi, negli anni ’70, con l’emigrazione che ha segnato la nostra terra, la gente ha cominciato a sposarsi in agosto quando rientrava al paese dalle fabbriche del Nord”. L’emigrazione, una specie di diaspora in tutta l’Irpinia; lo stesso Calitri, che era un paesone di diecimila abitanti adesso ne conta meno della metà. “Negli anni ’80, dopo il terremoto, hanno aperto qualche fabbrica nella valle dell’Ofanto. Abbiamo pensato che finalmente qualcosa di buono sarebbe arrivato anche per noi. E’ durata una decina d’anni; hanno preso i soldi del dopo sisma e sono scappati lasciando centinaia di famiglie in mezzo alla strada.

E’ stata l’ultima illusione, l’emigrazione è ricominciata”. Figlio dell’emigrazione è anche Vinicio Capossela, padre calitrano madre di Andretta, cantautore visionario e poeta che ha fatto rivivere e ‘ri-conoscere’, come ci tiene a dire lui stesso, una tradizione che è innanzitutto senso di comunità. “Ovunque siamo andati in giro per l’Italia durante questa estate abbiamo incontrato compaesani quasi sempre imparentati con qualcuno di noi. E tutti con una grande voglia di ballare”. Alla Banda della Posta ‘originale’ si sono aggiunte  negli anni le nuove generazioni. Figli e nipoti che con quella musica ci sono cresciuti; musicisti professionisti alcuni ed ‘orecchisti’ autodidatti gli altri. Questo straordinario e mirabolante gruppo di uomini si è mosso in pullman tutta l’estate accompagnando i concerti di Capossela, fino all’esperienza dello Sponz Fest di fine agosto a Calitri, riscuotendo un successo che ancora sembra incredibile soprattutto a loro. “Ma come è cambiata la vostra vita?”. Mi guardano sgranando gli occhi e facendosi una risata.

Si lanciano occhiate e poi confessano che le mogli non ce la fanno più. “Ho detto a Vinicio che mi deve dare i soldi per l’avvocato che così finisco per divorziare” dice Tottacreta e gli altri divertiti ma seri dicono che le donne si stanno sobbarcando tutto il lavoro familiare e cominciano a protestare. Intanto le date si moltiplicano e chi, tra i più giovani, lavora si sta bruciando tutte le ferie. Poi inizia il concerto, cappello da cowboy e strumento in mano. Impassibile Giuseppe  Galgano  ‘Tottacreta’ abbraccia la sua fisarmonica, Franco Maffucci ‘Parrucca’ brandisce la chitarra, Gianni Briuolo, figlio di quel Briuolo che faceva parte del gruppo originario, si accomoda con il suo mandolino, Antonio Daniele ‘u’ batterista’ prende posto, Giovanni Buldo ‘Bubù’ al basso si fa una risata con il suo vicino Gaetano  Tavarone  ‘Nino’  alle  chitarre e il tastierista Crescenzo Martiniello ‘Papp’lon’ con la scoppola in testa si sistema imperturbabile al suo posto. Poi due ore e mezza di concerto che alternano vecchi pezzi calitrani di cui non si sa nemmeno l’origine e l’autore, ai pezzi degli ’50 e ’60 di Celentano, Adamo, Salvatore, Benito Urgu, a quelli di Capossela. Si balla tanto, in coppia, da soli, in gruppo, e sul finale si scatena una quadriglia, diretta dal palco da Parrucca, che finisce con l’immancabile ‘all’incontrè!’ che spariglia tutti mentre gli organizzatori quasi non ce la fanno a stare dietro alla richiesta di acqua, e liquidi in generale, del pubblico. “Un lavoro ben fatto, che non si prende mai sul serio” questo è il motto della Banda della Posta e così si chiude con Capossela che ci ricorda che quelle che abbiamo sentito non sono canzoni politiche ma che è ‘politico’ cantarle perché ci dicono che esiste una comunità. L’ultimo pensiero cullato da ‘Ovunque proteggi’ è per chi sabato ha digiunato per la pace, “Unico gesto che da un senso a questi giorni” dice Vinicio e poi chiude “Che la grazia sia con voi. Pace.”.

Le foto

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