Anna Karénina, il prezzo della libertà

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo.”  [Anna Karénina-Tolstoj]

Con questo incipit Tolstoj ci inserisce nel contesto familiare, drammatico, del Principe Stefano Arcadievic Oblonski, Stiva, fratello di Anna. Egli ha, nuovamente, tradito la moglie, questa volta con l’ istruttrice francese dei bambini. Il libro si apre con la disperazione della moglie di Stiva, Dolly, che medita, tanto è il rancore che prova per il marito, il divorzio. Ad intervenire, ma soprattutto a riportare l’ ipocrita pace coniugale sarà proprio Anna, giunta da Pietroburgo, su richiesta del fratello. L’ autore, quindi, ci presenta nel suo romanzo due tipi di adulteri, due tipi di soluzioni. Quello maschile, di Stiva, è un tradimento bonario, un peccato di leggerezza, la debolezza di un attimo, un qualcosa da dimenticare o su cui scherzare. Niente di irreparabile è accaduto, cacciata l’ istitutrice, e presane una più vecchia e meno appetibile, la quiete può tornare a casa Oblonski.

Poi c’è l’ adulterio femminile, quello di Anna che si macchia di una colpa indelebile, un peccato che non può essere cancellato, nulla potrà mai tornare come prima, perchè ella ha rotto il patto sociale, il sacro vincolo del matrimonio. Ella ha peccato, non solo di fronte al marito, alla famiglia e alla società, ma allo stesso Dio a cui si è giurata fedele ed obbidiente solo al suo coniuge.  E’ quindi da condannare Anna, quando Stiva, per il medesimo ‘peccato’, è stato perdonato? Anna è , diciamo, un’ anticonformista, benchè risvegliata dal torpore della sua situazione solo dall’ amore per Vronskij, vuole scrivere la sua vita in prima persona, non lasciarsi vivere da quell’ ambiente in cui lei non sarà più ricevuta, mentre al suo amante ogni salotto rimarrà aperto.

Le famiglie di Tolstoj non sono felici o infelici, ma basate su diversi rapporti di forza tra coniugi.

Kitty, una donna eternamente fanciulla, vive un amore placido, conforme a come deve essere, accettando Levin senza porsi domande, senza dubbi, vivendo così non un idilio, ma un’ esistenza di superficiale perfezione. Dolly, ipocritamente, subisce i tradimenti di Stiva, rimanendo una madre esemplare, mentre finge di non accorgersi di nulla, non ascoltando i pettegolezzi, reprimendo ogni istinto, ogni desiderio di fuga. Poi c’è Anna che, non solo lascia il marito, abbandona anche il figlioletto tanto amato pur di essere libera. Rinnega il suo ruolo di moglie, e in parte anche quello di madre.  Anna, però, non è libera.  Il mondo felice, colorato e vorticoso che si è a lei presentato assieme alla relazione con Vronskij, è una trappola soffocante e possessiva, una spirale di inquietudini, dolori, affanni e dispiaceri. La passione porterà la protagonista ad ammalarsi, ad accarezzare quella morte che sarebbe veramente liberatoria. Invece guarisce, riprendendo a tormentarsi nella tristezza e nelle ansie di questo solitario sentimento che ormai ella vive da sola. La protagonista è una condannata. Suo marito, Aleksei Aleksandrovic Karénin, è un uomo che non sa amare, e che non vuole neanche. Pur di salvare le apparenze, il suo nome e la sua reputazione farebbe qualsiasi cosa. Lui non perdona, inizialmente, Anna per bontà, la perdona perchè ella torni ad essere quella di sempre, perchè la loro vita torni ad essere come sempre, prima che qualcuno noti qualcosa di cui far parlare la società. Tutto pur di evitare lo scandalo. Egli, rifiutandole il divorzio, lascia Anna al pubblico ludibrio, nella parte dell’ amante di un giovane ufficiale e madre di una bambina illegittima.

Dolly, che professa spesso il suo affetto per la cognata, non fa nulla, addirittura non la riceve in casa sua, con la scusa di non ferire i sentimenti di sua sorella Kitty, infatuta di Vronskij. Lo stesso Vronskij, che l’ ha trascinata in una spirale di autodistruzione, non le rimane accanto, non capisce il malessere della sua compagna, la quale sta impazzendo in un limbo di incertezze e dubbi. Tutti accusano Anna, chi apertamente chi velatamente, ma nessuno l’ aiuta. La protagonista, da dama ammiratissima, diventa un bersaglio sociale, una donna da punire perchè si è ribellata, perchè ha deciso di vivere e non di essere vissuta. L’ isolamento forzato, il disprezzo ed i giudizi maligni lapidano senza pietà Anna, la quale non può che soccombere ad una forza tanto grande, che schiaccia il sentimento con cui ha cercato di appagare la sua anima, assetata e troppo a lungo reclusa in un matrimonio privo di qualunque calore umano.

Vronskij , però, non sarà la sorgente a cui lei agogna, ma delle sabbie mobili nelle quali ella affonda, annaspando, alla ricerca di salvezza, non fa che scendere ulteriormente. L’ errore di Anna è di vedere l’ assoluto, l’ amore, la sua ragione di vita in Vronskij, idealizzandolo a nobile cavaliere, quando invece egli non è altro che un ufficiale spocchioso, debole, soggiogato al volere materno, troppo innamorato di se stesso per poter provare sentimenti per altri. Egli non ama Anna, la vuole, senza un perchè. Esattamente come vuole la cavalla più abile nel salto ad ostacoli. Cavalla che lui stesso condanna alla morte per un suo errore di valutazione. Vronskij è un egoista, un uomo che non vale nulla. Egli inizia ad odiare Anna, a detestarla per il troppo amore che questa gli dà, per le paure che gli esprime, per i dubbi che si insinuano nella mente di una donna da lui sempre lasciata sola.  Anna crede, fortemente e con ingenuità, di poter trasformare Vronskij da amante e seduttore a marito e padre amorevole. Non si accorge che la sua è una spinta vana. Lui, che l’ ha braccata sino allo sfinimento, abbattendo ogni remora della donna, spogliandola del suo onore, della sua famiglia, di suo figlio, lui ora non la vuole più e vigliaccamente si nasconde dietro alle visite alla madre per lasciarla ancora da sola.

Per quanto Tolstoj abbia cercato di dare alla sua protagonista una connotazione negativa, amorale, quasi torbida, Anna resta una donna straordinariamente forte, per i suoi tempi. Il poco amore provato per la donna, dall’ autore, si evince della gelida descrizione del suo suicidio. Non una parola di pietà, non un segnale di perdono per quell’ anima trascinata,da tutti i suoi ‘cari’, sotto quel treno.  Anna si suicida per liberarsi dal peso che la sta logorando, ma soprattutto per punire coloro che l’ hanno tanto fatta soffrire. Vronskij, Stiva, Karénin e la stessa Dolly dovranno sopportare per sempre la presenza di un’ ombra nelle loro vite, quella di una donna che non hanno voluto salvare. Più che suicida è una giustiziata. I personaggi, soprattutto quelli principali, in Tolstoj mutano di colpo la loro esistenza, da un momento all’ altro, così farà anche la protagonista, cambiando spesso il corso della sua esistenza, andando a tentoni in un mondo a lei estraneo, alieno dalla società in cui era nata e per il quale era stata educata. Si muove alla cieca, sbagliando, ma conoscendo oltre la bariera invisibile, dettata dalla società, che divide l’ appropriato dall’ inappropriato. Anna non accetta di essere solo moglie e madre. Vuole essere donna, vuole essere artefice del suo destino, libera di decidere come vivere e come morire. 

 

TITOLO : Anna Karénina

AUTORE:Lev Nikolaevic Tolstoj

EDIZIONE: Einaudi

TRADUZIONE: Ginzburg Leone

COSTO: 10,20 euro

 

PAGINE: 890

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