Petrucciani, il piccolo grande pianista

Il musicista francese a 15 anni dalla sua morte, rimane un innovatore dello strumento

 

“Se non posso essere normale voglio essere un’eccezione, un artista eccezionale.

Vivo in un mondo di giganti. Sono l’unico normale,

ma devo compiacerli”

 

MILANO – Pur fortemente penalizzato da una grave malattia ossea, ha saputo imporre la sua musica, il suo pianismo, il suo stile poliedrico e il suo modo di porsi nei confronti della vita e del successo. Michel Petrucciani, prodigioso pianista morto a soli 37 anni, ha lasciato una traccia indelebile nella storia del jazz. Il suo approccio allo strumento era completo: spaziava da un solido bagaglio classico per arrivare allo swing sino al registro intimista e profondo di Bill Evans. In 19 anni di carriera ha collaborato con artisti straordinari come Wayne Shorter, Jim Hall, Lee Konitz, Stanley Clarke, Stephane Grappelli, Kenny Clarke e Marcus Miller. Petrucciani era molto abile nel riarrangiare standard e allo stesso tempo era un raffinato compositore. Memorabile rimane la sua versione di “Estate” di Bruno Martino. Anche le sue “cover” delle composizioni di Duke Ellington sono veri capolavori sia per l’arrangiamento delle melodie che per le parti improvvisate. Nella veste di piano solo (sia in studio che dal vivo), era un musicista semplicemente sbalorditivo. Coniugava un virtuosismo mai fine a stesso con una sensibilità davvero rara.

Michel Petrucciani nasce ad Orange in Provenza il 28 dicembre del 1962. Suo nonno era di Napoli, mentre il padre Antoine Petrucciani, meglio conosciuto come Tony Petrucciani, era un rinomato chitarrista jazz. Michel imparò fin da bambino a suonare la batteria e il pianoforte, dedicandosi prima allo studio della musica classica e poi al jazz, nutrendosi della collezione del padre. Si esibì in pubblico per la prima volta all’età di 13 anni e la sua carriera professionale prese avvio già all’età di 15 anni, quando ebbe l’occasione di suonare col batterista e vibrafonista Kenny Clarke (con cui registrò il suo primo album a Parigi). Dopo un tour francese col sassofonista Lee Konitz, nel 1981 si trasferì a Big Sur, in California, dove venne scoperto dal sassofonista Charles Lloyd, che lo fece membro del suo quartetto per tre anni. Quest’ultima collaborazione gli fece guadagnare il prestigioso Prix d’Excellence. Le sue straordinarie doti musicali e umane gli permisero di lavorare anche con musicisti del calibro di Dizzy Gillespie, Palle Daniellson, Eliot Zigmund, Eddie Gomez e Steve Gadd. Tra i numerosi riconoscimenti che Michel ha ricevuto durante la sua breve carriera, si possono ricordare: l’ambitissimo Django Reinhardt Award e la nomina di “miglior musicista jazz europeo” (da parte del Ministero della Cultura Italiano). Nel 1997 a Bologna, si esibì alla presenza di papa Giovanni Paolo II, in occasione del Congresso Eucaristico. Colpito alla nascita dall’osteogenesi imperfetta (malattia genetica anche nota come “Sindrome delle ossa di cristallo”), Petrucciani considerava tale disagio fisico come un vantaggio, che gli permise in gioventù di dedicarsi completamente alla musica tralasciando altre “distrazioni”. La malattia lo costringeva a ricorrere ad un particolare marchingegno realizzato dal padre e consistente in un parallelogramma articolato per raggiungere i pedali del pianoforte. Restano la sua assoluta bravura tecnica, la genialità, il dominio della tastiera, il suo tocco inconfondibile. Sul fronte personale ebbe cinque relazioni significative, con donne che lui chiamava “mogli” anche senza averle sposate. Anche il suo matrimonio con la pianista italiana Gilda Buttà finì con un divorzio. Ebbe due figli, uno dei quali, Alexandre avuto dalla canadese Marie-Laure Roperch, ereditò la sua malattia. Morì a New York il 6 gennaio 1999 in seguito a gravi complicazioni polmonari e giace sepolto al cimitero parigino di Père Lachaise accanto alla tomba di Fryderyk Chopin.

Nel 2011 l’inglese Michael Radford gli ha dedicato un intenso e struggente documentario intitolato “Michel Petrucciani – Body & Soul”.

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