Intervista a Jeff Berlin. Il 7 aprile concerto a Stazione Birra

Abbiamo intervistato Jeff Berlin il grande bassista che si esibirà giovedì 7 aprile a Roma a “Stazione Birra”  con il suo JEFF BERLIN TRIO. Il musicista ha risposto con molta “generosità” a ogni nostra domanda, impartendo anche una piccola lezione sul valore della tecnica e della creatività e ricordando infine il suo legame con l’Italia.

D: Puoi brevemente descrivere la tua evoluzione come bassista?

JEFF- La mia evoluzione come bassista consiste nell’aver suonato in modo diverso da come un  bassista generalmente suona, soprattutto nel fare assoli. Io sono una sorta di continuo “work in progress” il che significa che sono in costante evoluzione come bassista. Ogni anno il mio modo di suonare risulta differente rispetto a quello dell’anno precedente. Con il tempo la mia tecnica è diventata più lenta, certamente molto più lenta rispetto a giovani incredibili bassisti come Hadrien Feraud. Così ho scelto di suonare con molta più cura, cercando di lasciare fluire la musica invece di dedicarmi solo a fraseggi da suonare.
Keith (Jarret) è un Maestro in questo e lui è la persona alla quale io mi ispiro e dalla quale prendo spunto e imparo. 
Ma ho sentito che Keith non è molto popolare in Italia
a causa del modo in cui si è rivolto al pubblico dell’Umbria Jazz Festival
nel 2008. Appena ho sentito cosa ha detto Keith, ho scritto la Mia versione di ciò che avrei invece detto io 
al pubblico se avessi suonato in Umbria.  E nel mio computer da tre anni,
ci sono le parole esatte di Keith, seguite dalle mie


Keith Jarrett in Umbria ha detto: “Non parlo italiano, quindi qualcuno che parla
inglese può dire a tutti questi stronzi di spegnere quelle fottute telecamere 
in questo preciso momento. Proprio ora! Nessuna foto. Mi arrogo il diritto di dire questo e penso che sia un privilegio per Voi ascoltarci.  Anche Jack e Gary si riservano il diritto di smettere di suonare e lasciare questa maledetta città”.

Jeff Berlin in Umbria avrebbe invece detto: “Io non parlo italiano, qualcuno che
parla inglese può dire  a tutte queste belle persone con macchine fotografiche di accenderle
in questo preciso momento! Proprio ora! Fate più fotografie che potete. 
Mi arrogo il diritto di dire questo, penso che  sia un onore per NOI essere qui a suonare per voi.  
Anche  Richard e Mike si riservano il diritto di iniziare a suonare
e non lasciare mai questa benedetta città”.

D: Quanto la tua preparazione classica, come violinista, ha influenzato la tua musica e il tuo stile?
JEFF – La mia formazione da violinista ha preparato la strada per sviscerare il basso come
strumento melodico. Il mio più grande rammarico riguardo ai bassisti con 
spirito d’avventura è che il loro spirito li porta sempre verso lo stile e il modo di suonare di Jaco
Pastorius e in Italia, lo fanno tuttora. Ci sono un paio di ottimi 
bassisti  in Italia, che però non esprimono un loro stile proprio una loro “voce” musicale, perché
sono cloni e hanno impostato la loro carriera sullo stile di un altro
musicista. Se smettessero di  suonare Teentown (di Jaco Pastorius) e iniziassero con i loro bassi ad esplorare una musica differente, non quella suonata da Jaco, allora qualcosa di musicalmente unico potrebbe davvero accadere nel loro modo di suonare.

D: La tua tecnica deriva dalla tecnica del violino?

JEFF – Non propriamente,  perché il violino è  ben diverso dal basso elettrico
Ma di fatto ho  imparato a muovermi sulla tastiera del basso con una certa fluidità
 proprio perché la mia mano sinistra era allenata sul violino. Per quel che riguarda la mia capacità come bassista devo molto a  quegli anni passati a  suonare il violino.

D:C’è una ragione particolare per la quale hai abbandonato il violino  e sei diventato un bassista?

JEFF – Ho lasciato il violino perché non ero più felice di suonare quello strumento.
Non mi piaceva più  suonare la  musica classica, anche se è tuttora 
la mia musica preferita da ascoltare. Ho studiato per dieci anni uno strumento che
i miei genitori hanno voluto imparassi a suonare. E sono grato per la loro insistenza. Proprio grazie a quegli anni sono oggi un miglior bassista  Ma, quando ho compiuto 11 anni
i Beatles sono entrati nella mia vita e tutto è cambiato per me. Sono arrivati 
proprio al momento giusto per  influenzarmi e  farmi decidere di cominciare a suonare un altro strumento ma questa volta elettrico.

D: C’è stato qualche bassista in particolare che ti ha ispirato nello sviluppo della tua tecnica? Jack Bruce ad esempio, è stato un modello per te?

JEFF – Jack è stato il solo eroe del basso che io abbia mai avuto. Il suo modo di suonare sui dischi dal vivo dei Cream  mi entusiasmava incredibilmente. Ritengo che Jack sia stato il primo bassista virtuoso della
storia della musica, il primo ragazzo a portare il basso elettrico in una  
direzione totalmente nuova. Basta ascoltare il suo basso in  “Sweet Wine” da Live Cream e
si sente forse la più grande performance di basso nella storia del rock.
Ancora oggi, io non conosco nessuno in grado di suonare con la sua stessa sensibilità melodica nel rock, che è ben evidente in quei dischi live dei Cream.

D: Tra le varie collaborazioni che hai avuto, vale la pena ricordare quella con Bill Bruford, batterista degli Yes e dei King Krimson. Pensi sia stata un’occasione importante che ha in qualche modo influenzato la tua musica?

JEFF – Bill Bruford ha avuto una grande influenza su di me e sulla mia musica. Quando mi ha chiamato per 
suonare nella sua band, ero un musicista sconosciuto, ma Bill ha percepito qualcosa nel mio modo di  suonare il basso che lo ha spinto a farmi entrare nella sua band. Devo la mia carriera a 
Bill,  sono in debito con lui per le grande lezioni che ho imparato nel periodo di tempo in cui abbiamo suonato  insieme. Una storia interessante che avrei dovuto raccontare
prima è stato quando Bill una volta, al pianoforte ha suonato alcune note che in una scuola di musica 
sarebbero state considerate  del tutto sbagliate da suonare insieme. Glielo feci notare,
Bill alzò lo sguardo e mi disse: “Ma, a me piace il modo in cui suonano
insieme! ” Il suo commento semplice è stato come una luce nel mio cervello. Fino a
quel momento, non mi era mai venuto in mente che fosse possibile suonare della musica e giustificare quel determinato suono semplicemente perché ti piace.  Avevo sempre pensato che per suonare o scrivere
musica, si dovessero seguire rigorosamente regole accademiche. Quello  
fu un altro momento in cui Bill Bruford  mi è stato di grande aiuto per migliorare la mia musica.

D: Parlando del tuo strumento il basso: tu hai sempre suonato con un “Dean Signature Bass” fatto appositamente per te. Pensi di aver trovato lo strumento ideale? Sei mai stato come motli tuoi colleghi una sorta di “fanatico collezionista”, sempre alla ricerca dello strumento perfetto da suonare?

JEFF – Mi viene da ridere sul fatto di poter essere un collezionista di strumenti. 
Sai quanti bassi possiedo in totale? Due! E negli  ultimi 10 anni ne ho
avuto solo uno. Ora ho avuto un altro “Jeff Berlin” basso dalla Dean e ho intenzione di
utilizzare proprio questo  quando verrò in Italia. Io amo questi bassi. Non posso
immaginare un altro basso così semplice da suonare  e con un suono così piacevole come il mio Dean “Jeff Berlin”. So che questo può suonare come una pubblicità ma io uso solo strumenti 
che suonano alla grande. Solo! Per questa ragione, io sono un “endorser” leale e
resterò con questa Azienda per tutto il tempo che loro vorranno.  
Non salto da una azienda all’altra. In realtà ho rifiutato tutte  le 
società di amplificatori che mi offrivano un accordo di “endorsement”  per oltre i dieci anni perché  
non riuscivo a trovarne una sola che realizzasse un amplificatore con il tono di cui avevo bisogno.

La Markbass è stata la prima e la sola azienda di amplificatori che ha completamente capito ciò di cui avevo bisogno.
Costruisce amplificatori con il più straordinariamente caldo, denso e incisivo
tono per bassi che io abbia mai sentito, fino ad oggi! Sono sicuro che sappiate che è un’ Azienda italiana con sede a Pescara. Quando Marco Devirgiliis, il proprietario  dell’Azienda
mi ha mandato un amplificatore 15 pollici combo da provare, mi sono così innamorato del
tono, che ho rifiutato la sua offerta di costruirmi appositamente l’amplificatore che volevo. Ancora suono con il suo amplificatore 15  pollici. Era un amplificatore presente già nel catalogo Markbass , ma Marco ha voluto metterci il mio nome. In realtà  non ho fatto nessuna modifica al design di 
questo amplificatore se non quella di togliere il tweater. Questo amplificatore è tutto design Markbass.
Inoltre, il basso Dean e l’amplificatore Markbass sembrano essere stati fatti l’uno per
l’altro.  Insieme suonano in maniera incredibile. Quindi sono con la Dean da 15 anni
e con la Markbass da 5 anni.

D: Oltre ad essere un grande musicista sei attivo nel campo della didattica.
Ci sono molti giovani musicisti che hanno una tecnica perfetta, ma poca “anima”. Pensi, almeno per la tua esperienza, di potere comunicare anche creatività ai tuoi studenti, oltre alla pura tecnica? Quali sono le cose basilari da trasmettere ai tuoi studenti al di là della tecnica? E quali sono gli elementi fondamentali per l’evoluzione di un bassista?
JEFF- Inizierò col dire che forse i ragazzi con la tecnica esprimono
la loro anima, perché forse questo è quello che vogliono.  Inoltre, insegnare la creatività agli studenti di non è necessario durante l’apprendimento della musica.  Aver “anima” o meno è per lo più un mito, perché quasi chiunque ha un’anima, e quasi tutti hanno una certa creatività.  
Chi mostra i propri sentimenti suonando è chi sa già suonare. Ma non tutti sanno come suonare, per questo motivo insegnare la creatività non è una cosa appropriata da insegnare alla maggior parte degli studenti. 
I grandi musicisti che hanno anima, il più delle volte non hanno seguito scuole di musica. Lo hanno fatto successivamente quando hanno cominciato ad utilizzare le lezioni imparate per esprimersi.
Le cose  da evitare durante le lezioni sono proprio la creatività, l’anima,
la performance, il suonare a tempo, e il fatto di esprimere il musicista interiore.
Gli studenti devono apprendere, non esprimere, in quanto l’espressività viene automaticamente fuori, nel momento in cui si migliora come musicisti. I fatti  vengono prima, non l’arte
ed ecco la prova! Nomina una qualunque cosa al mondo, in qualsiasi settore, sport, cucina,
una qualunque attività che si possa pensare, dove l’arte viene prima della necessità di studiare o imparare quella cosa. Fai una lista e io posso commentarla. Ma la mia previsione è che non si possa fare. Ma, ironia della sorte, l’arte sembra essere sottolineata soprattutto in musica attraverso termini come anima, o groove (altro concetto inefficace, accademico).
Stessa cosa per “il tempo”, viene quando hai la capacità di suonare a tempo. 
Il contenuto è il modo per imparare, non l’espressione o l’anima. Ecco la prova: come
posso esprimerti i miei sentimenti, la mia creatività, la mia anima  in
Italiano se non so le parole? È per questo che quasi tutte le scuole e gli insegnanti
che non insegnano questo sbagliano nel loro metodo di insegnamento. Riflettici!


D: Il 7 Aprile suonerai a Roma. Se non sbaglio hai origini Italiane, che effetto ti fa?

Non ho propriamente origini italiane. Io sono ebreo e  quando ero un
ragazzo, mio padre mi raccontava sempre come il popolo italiano lo aveva aiutato durante 
la guerra. Lui era nato in Belgio e ha attraversato l’Italia per raggiungere gli Alleati  
al Sud. Soggiornò a Roma all’Albergo Hotel Salus a
Piazza dell’Indipendenza e si unì alla “Resistenza”.  
Andò in Abruzzo, passò in città come San Donato in Val di Comino, Campali,  Piccinisco,  Sette Fratte, Sora, e Cassino.  
I tedeschi lo catturarono sul  Monte Meta. Per farla breve comunque lui 
riuscì a fuggire, ed è una storia interessante sapere come ci è riuscito
Mio padre era conosciuto in Abruzzo come la spia inglese, ma non era vero in realtà non era né una spia né un inglese visto che era belga. In Italia durante la guerra mio
padre utilizzò il nome di Antonio Bruno, abbiamo ancora quelle carte false che lui
aveva l’abitudine di portare sempre con sé nel nostro album di famiglia. Lui amava molto l’Italia, e
amava il popolo italiano, ed è lo  stesso anche per me.
Grazie ai vostri nonni che hanno aiutato mio padre, io sono qui a raccontare questa storia.
Infatti, ho appena parlato al telefono con lui e gli ho detto che stavo facendo questa
intervista. E lui subito mi ha detto di dire a tutti voi  “Tanto amore e rispetto per il
meraviglioso popolo d’Italia. Dio benedica tutti voi!”

 

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