Sul tetto del mondo. Intervista a Franco D’Aniello dei Modena City Ramblers

Continua il tour dei Modena City Rambler. Il 15 aprile si esibiranno a Stazione Birra a Roma

 

Iniziamo parlando dell’album appena uscito, “Sul tetto del mondo”. La registrazione ci sembra voler valorizzare gli strumenti ‘tipici’ dei Modena e il risultato che si ottiene a volte somiglia quasi ad un ‘live’. È qualcosa di voluto, pianificato, o è venuto spontaneamente?

In alcuni  casi è merito del “casello” dello studio di registrazione. Abbiamo sfruttato il riverbero naturale della sala d’incisione e i suoni scaturiti sono molto naturali; non li abbiamo lavorati in fase di missaggio. In alcuni pezzi poi abbiamo effettivamente suonato tutti assieme, creando l’effetto live. E’ stata una scelta voluta.

Le canzoni sono sempre firmate da tutto il gruppo, senza specificare chi ha avuto lo spunto iniziale o chi ci ha lavorato maggiormente. Perché?

Perché da sempre crediamo nella forza del gruppo e del progetto MCR che va ben oltre i singoli elementi che lo compongono ma soprattutto questo ci permette di scegliere i pezzi da inserire in un CD valutando esclusivamente il tenore artistico del brano.

L’album nel suo insieme ci è apparso più disincantato rispetto agli altri lavori dei Modena. Sempre ribelle, battagliero e sognatore, ma con una voglia a ‘sedersi sul tetto del mondo’, a pensare, osservare, respirare. È così? Perché? Cosa cambia?

Non è cambiato nulla da quando abbiamo iniziato vent’anni fa. Anzi, in alcuni casi crediamo che il mondo sia cambiato in peggio. Per questo non ci siamo di certo arresi. Anzi! Pensiamo che a volte bisogna fermarsi a riflettere con più calma, far depositare le cose nella testa, nella memoria. Anche cavalcare l’onda del malcontento non è una cosa che ci piace fare. In questo momento ci tenevamo più a mettere in risalto le cose positive dell’uomo, in generale, ma in particolare di quella parte di mondo che noi conosciamo bene, quella abitata da ragazze e ragazzi che hanno ancora enormi passioni, sia dal punto di vista sociale che intimo. Per questo c’è qualche ballata in più e per questo potrebbe sembrare un CD meno battagliero: ma in realtà è l’altra faccia della stessa medaglia.

Riscontriamo che ci sono meno riferimenti latinoamericani (a parte l’isola dei pirati di Tortuga, che però è “un’isola che non c’è”), ve li state mettendo da parte per il prossimo CD?

Non c’è un motivo ben preciso, è una questione di cosa si prova in un certo momento. Sicuramente l’abbandono di Kaba Cavazzuti e di tutta quella parte percussiva e il cambio di line up con il ritorno di Luciamo Gaetani al bouzouki ha in un certo senso cambiato l’equilibrio sonoro del gruppo.                                                                                                             

Abbondano invece i riferimenti al folk irlandese, l’altra vostra grande passione. Perché nella vostra analisi del mondo e nella vostra tensione a cambiarlo, o almeno a sognarlo, più giusto sono così importanti questi due riferimenti culturali?
Perché sia dal punto di vista musicale che nel modo di approcciarsi alla vita questi riferimenti culturali sono da sempre i “nostri” punti di riferimento. La passione per la musica irlandese non è mai calata, è una seconda pelle. La cultura irlandese e quella sudamericana poi da sempre hanno un approccio popolare se riferita alle “cose” della vita. I poeti e musicisti irlandese e sudamericani riescono a parlare dei massimi sistemi in modo così semplice e leggero come non avviene in altre culture. E’ a questo che noi puntiamo da sempre.

Tra le citazioni dell’album c’è quella esplicita al sommo poeta Dante Alighieri, con risultati più che buoni a mio modo di vedere. Da dove vi è venuto il coraggio di cimentarvi con uno dei massimi poeti della storia dell’umanità e come mai’?

Il sommo poeta è stato l’incubo di milioni di studenti da sempre, ma se si riesce a leggerlo mettendolo in rapporto – metaforicamente parlando – al mondo contemporaneo, ci si accorge che è molto più facile da comprendere. Ci piaceva l’idea di renderlo attuale.

Poi c’è l’omaggio a Eduardo Bennato, ai suoi pirati e isole e a Capitan Uncino. Perché tra i giovani musicisti non si riesce a raccogliere l’eredità del sarcasmo e la voglia di libertà di un Bennato? È proprio necessario riaffidarsi alla ‘cattiveria’ di un nuovo Capitan Uncino per farsi ascoltare e provare ad uscire dalle secche della crisi che affligge la nostra società? E fino a che punto deve essere cattivo?

Il Capitan Uncino non è un cattivo qualunque. A volte i cattivi lo sono per necessità o per reazione a chi si crede più furbo e al di sopra di ogni sospetto. Bennato è ancora, purtroppo, straordinariamente attuale. Forse è l’unico tra i cantautori ad aver scritto canzoni così a lungo termine, con tale e tanta lungimiranza. Il nostro è un atto d’amore verso la sua musica e le sue parole. Credo che ci sia ancora bisogno del sarcasmo insito nelle sue canzoni, o nelle vignette de “Il Male. E’ tutto così buonista, oggigiorno. Vorremmo essere tutti un po’ capitan Uncini, ma la società ti stringe nella morsa del perbenismo. Guardate i politici. Non ce n’è uno che dica cosa pensa davvero. La libertà di pensiero esiste solo sulla carta.

A proposito di libertà, come la gestite in questo mondo così ‘consumistico’ e ‘manipolato’ (bello e incisivo il testo e la musica che incalza di “Interessi zero”)? E i vostri rapporti con l’industria della musica popolare com’è? Che ne pensate della musica scaricata?

La nostra libertà intellettuale è la prima cosa alla quale abbiamo sempre tenuto. Nessuno ci ha mai detto cosa dovevamo fare. Il mondo consumistico ci porterà alla disfatta – prima o poi – però le contraddizioni sono sempre dietro l’angolo. E’ un terreno minato. C’è bisogno di coerenza, non di rigidità di pensiero. Spesso la rigidità è confusa con la coerenza, ma sono due cose completamente diverse. Noi ci sentiamo popolari, ma anche “Amici” lo è. Popolare è tutto ciò che è facilmente accessibile e diventa di massa. Purtroppo non tutto ciò che è popolare è anche buono. Per quanto riguarda la musica scaricabile credo che sia poco o nulla da fare, il mondo è cambiato. Ma non credere: anche noi, quando c’era solo il vinile, copiavamo la musica su cassetta. E’ solo diverso il supporto e forse un po’ la quantità. Diciamo che è diverso il senso. Scaricare dal computer è diventato talmente facile che si perde il senso di gustarsi le cose. Noi quando duplicavamo un disco su cassetta, eravamo sicuramente presi anche dalla musica perché per duplicarla dovevi ascoltarla. E non avresti mai duplicato una cosa che non ti piaceva e non t’interessava. Questa è la differenza fondamentale, credo. Sicuramente per band emergenti fare ascoltare la propria musica via computer è più semplice… ma poi tutto finisce lì. Oggi vendere i CD è un’impresa quasi impossibile. Ecco perché oggi, come ieri, il live è fondamentale.

Qual è il vostro consiglio per i giovani che vogliono fare musica? 

L’unico consiglio che possiamo dare è quello di fare musica con passione senza inseguire mode e senza voler sfondare a tutti i costi. Questo limita la creatività e genera musicisti frustrati.

Guerra, razzismo, egoismi sembrano mali incancellabili e che l’uomo si trascina dietro nella sua storia. La musica popolare sembravo nata per opporsi a questa visione ma i risultati sembrano non aver inciso positivamente su queste tristi modalità umane. Voi che ne pensate?

La musica non ha mai cambiato il mondo perché il mondo cambia solo in seguito a guerre, a catastrofi naturali, a rivoluzioni sanguinose. Le rivoluzioni pacifiche possono vincere solo grazie a una massa spropositata di persone e soprattutto in popolazioni pure di pensiero, come in India; non credo che una rivoluzione pacifista possa concretizzarsi mai in un mondo occidentale. Quello che può fare la musica è far sognare un mondo migliore. Poi, ci deve mettere la faccia il singolo individuo… Troppo spesso si delega l’impegno politico & sociale allo scrittore, al musicista, all’artista. Si sublima e basta. Così la musica e l’arte perdono la loro forza.

Il Diavolo, come ci dite in una vostra canzone, oggi in Italia ha perso il suo ruolo, si ritrova disoccupato, è diventato un poveretto se si confronta con la realtà. Siamo veramente messi così male? È uno dei tanti picchi negativi della storia o una discesa senza ritorno?

E’ una strada in discesa della quale non si sa se esiste il ritorno. Dove tutto diventa lecito, e per tutto intendo anche l’illecito, la posizione del diavolo diventa marginale. Appunto, disoccupato. Non ha più coscienze da deviare perché sono già tutte deviate.

Che ne pensate del nuovo corso politico latinoamericano, con i movimenti sociali ed indigeni finalmente protagonisti dopo secoli di sottomissione e umiliazioni? Quale è stata, secondo voi, la spinta che ha favorito questo cambiamento inaspettato in atto?

Una vera voglia di riscatto sociale e la fame. Ma attenzione: i poveri sono ancora milioni. 

L’Europa invece appare stanca, vecchia, ripiegata su se stessa e sui suoi privilegi conquistati con guerre, aggressioni e sottomissioni di altre culture. Eppure è stata anche capace di produrre ideali potenti, culture e forme artistiche uniche e di grande positività e impatto. Cosa accade ora? Se ne uscirà? E come? O la decadenza è ormai inarrestabile?    

Sembra di vivere un nuovo Medio Evo, però il mondo va talmente veloce che ipotizzare un declino inarrestabile o un nuovo rinascimento è molto difficile.

Siete partiti con il nuovo tour. Quale consigli date a chi vi seguirà nei vostri concerti? Con quale approccio devono prepararsi a parteciparvi?       

Beh, con l’approccio di sempre: un ascolto di cuore e di testa… contemporaneamente.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe