L’intervista. Il carteggio tra l’autore de “I Viceré” e l’attrice Ernesta Valle

 

ROMA. Gli studiosi Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla hanno riordinato la monumentale corrispondenza tra l’autore del celebre romanzo I Viceré e la Valle, dando vita a un libro che raccoglie centinaia di lettere.

L’opera viene presentata oggi alle ore 17:00 al Teatro Argentina di Roma, alla presenza dei curatori e del direttore Antonio Calbi, con interventi di Filippo Arriva e Paolo Fallai e letture di Giuseppe Pambieri e Lia Tanzi


D.Come mai avete deciso di riordinare l’enorme carteggio tra Federico De Roberto e Ernesta Valli? 

Mio marito Enzo Zappulla e io siamo studiosi della letteratura siciliana tra Ottocento e Novecento. Ci occupiamo di Verga, Capuana, Pirandello e altri autori. A De Roberto abbiamo dedicato da anni lavori, pubblicando tra l’altro anche la corrispondenza dell’autore con la madre, Donna Marianna degli Asmundo, con Luigi Capuana, con Luigi Albertini, il direttore del Corriere della SeraIl carteggio d’amore era però estremamente affascinante, intanto per la mole, ma soprattutto perché capovolge l’immagine tradizionale che abbiamo di Federico De Roberto, quel carattere che abbiamo desunto dal suo capolavoro,  I Viceré, con quei ritratti, quei medaglioni graffianti, e anche dai suoi scritti teorici sull’amore che lo fanno apparire austero, schivo, riservato, anche misogino e antifemminista.
Nelle lettere con Ernesta viene fuori invece un amante appassionato, impetuoso, travolgente, temerario, al limite dell’osceno. Tutto questo è importantissimo per conoscere l’uomo, che dice, nelle lettere all’amata, che con questo amore ha capovolto la sua immagine della donna. In precedenza, ad esempio, a proposito di George Sand diceva: “Questo e altri mali produce il femminismo”. A Ernesta confessava invece che avrebbe voluto scrivere un grande romanzo, nel quale si sarebbe parlato di filosofia, di storia, di letteratura, di teatro, di sociologia, di economia, ma nel quale lei e il loro grande amore si sarebbero accampati protagonisti”. In realtà non è mai riuscito a scrivere questo romanzo epistolare, ma possiamo dire che Si dubita sempre delle cose più belle realizza il sogno di De Roberto.

 

D. Stupisce la libertà con cui i due amanti si scrivono…


In effetti sì. Anche se poi si incontravano in un appartamentino, con sotterfugi, lui perché aveva questa occhiuta madre padrona, che lo voleva tenere legato a sé e a Catania, lei, com’è ovvio, doveva nasconderlo al marito e alla società, anche se tutti dovevano avere più di un sospetto.
Stupisce poi la scrittura. De Roberto è l’autore di quel grande romanzo che è I Viceré, quindi è chiaro che le lettere siano bellissime, ma anche Ernesta ha uno stile brillante, oltre a essere una donna raffinata, colta, elegante. Uno dei pregi del carteggio è infatti quello di essere bilaterale, cosa rarissima, specialmente se pensiamo alla mole monumentale: quasi 800 lunghissime e dettagliatissime lettere. Pensiamo all’epistolario di D’Annunzio con la Duse: abbiamo solo le lettere di Eleonora, perché lui le bruciò quando la loro storia finì. Delle lettere di Verga con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo, abbiamo quelle di lui, ma non di lei e lo stesso si dica per Pirandello e Marta Abba. Federico e Ernesta inoltre si scrivono di continuo, anche due o tre volte al giorno. Quando poi si vedevano a Milano, lei gli riconsegnava le lettere in “sacro deposito”, non potendo tenerle in quanto donna sposata. Il fatto che lui avesse tutte le lettere tra le mani ci consente oggi di avere tutto il carteggio.
 

D. Nelle lettere emerge anche l’atmosfera culturale italiana…


De Roberto dice che se si vuol essere qualcuno, bisogna andare a Milano dove la pianta uomo cresce con un’energia, con una vitalità, come in nessun’altra città d’Italia. In quegli anni infatti Milano era davvero il centro culturale, con le sue case editrici – Treves, Galli – le grandi testate giornalistichei teatri – la Scala, il Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico, l’Eden – i ritrovi – il Biffi, il Covo, il Caffè dell’Accademia e altri – che allora erano davvero il punto di incontro dell’intellighenzia – i salotti letterari di Donna Vittoria Cima, di Virginia Borromeo, della stessa Ernesta Valle, dei Castiglioni. De Roberto e anche Ernesta dialogano con i massimi spiriti del tempo: Albertini, Praga, Lopez, Ojetti e i più grandi scrittori dell’epoca. Tutta questa Milano è nelle opere che lui scrive in quel periodo e anche successivamente. L’opera incompiuta L’Imperio, romanzo parlamentare ambientato a Roma, non si poteva capire se non si erano lette queste lettere, perché i personaggi hanno ancora dei nomi milanesi, che lui avrebbe probabilmente trasformato poi in nomi romani.


 
D.Infatti il suo rapporto con Roma non era idilliaco come quello con Milano…

De Roberto ha frequentato Roma, ma questa città, nonostante sia fondamentale in molti suoi scritti, non lo affascinava come Milano, dove forse era felice anche in virtù della sua passione con Ernesta, che lui chiamava Renata, perché era “rinata all’amore”.


 
D. La bellezza di questo libro sta anche nella completezza del racconto di un amore dall’inizio… alla fine.

Si nota poi negli scritti successivi che questo amore non è finito mai realmente. Si è concluso perché Federico aveva sempre meno occasione di spostarsi a Milano. Anche perché non aveva un lavoro fisso e dunque la necessaria disponibilità economica per emanciparsi dalla madre, benché lui fosse un importante collaboratore del Corriere della SeraNon è mai cessato l’amore, sono cessate le condizioni perché questo amore sopravvivesse. Ma anche nelle ultime lettere si nota come entrambi fossero coinvolti sentimentalmente.

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