Venezia 72. Alfredo, Alfredo!

Nella sezione Venezia Classici, il documentario “Alfredo Bini, ospite inatteso”, di Simone Isola, rende omaggio al coraggioso produttore di “Accattone”

LIDO DI VENEZIA (nostra inviata) Apro questa finestra sulla Mostra del Cinema di Venezia parlando di un produttore troppo dimenticato, ingiustamente mai celebrato, pur appartenendo alla storia stessa della nostra cinematografia e meritando senz’altro un posto d’onore nella rosa dei produttori italiani più importanti: Alfredo Bini, scomparso nel 2010 a 84 anni. Se ne torna a parlare grazie ad un documentario d’esordio del giovane cineasta Simone Isola, e prima che lo starsystem e lo showbiz invadano le pagine di tv e giornali, vale la pena ricordare chi era questo uomo di cinema coraggioso, con il quale io stessa ho avuto il privilegio di lavorare per alcuni anni al Centro Sperimentale di Cinematografia. 


Alfredo Bini è soprattutto il produttore che ebbe la sensibilità e lungimiranza di far esordire alla regia Pier Paolo Pasolini con il film “Accattone”. Fu un disastro: il film venne censurato, distrutto dalla critica a Venezia nel ’61, ebbe il primo divieto per un lungometraggio italiano ai minori di 18 anni e, come se non bastasse, alla prima proiezione a Roma, al cinema Barberini, ci fu un’irruzione di neofascisti che interruppero la visione, picchiarono gli spettatori e devastarono la sala. Ma Alfredo Bini non si scoraggiò affatto, anzi si rese conto che Pasolini era un eccellente regista e gli produsse anche “Mamma Roma”. Ma non finì lì,  ebbe il coraggio di insistere ancora e produsse per Pasolini “Il Vangelo secondo Matteo”. Lo scrittore friulano era notoriamente ateo e anticlericale e non voleva saperne di fare un film del genere, ma Bini con una scusa lo invitò per un breve soggiorno di riposo e gli riservò una cella in un convento…suo solo compagno il Vangelo sul comodino. Il film si fece. Accadde anche che per quel film Bini e Pasolini chiusi in un ufficio se le diedero di santa ragione. Ma tutto ciò non fu sufficiente a fermare il nostro produttore che, non contento, finanziò “Uccellacci, uccellini” e ancora “Edipo re”…per non tralasciare i famosi e ancora trasmessi dalle reti televisive “Comizi d’amore”.

Il rapporto professionale con Pasolini a Bini costò caro: processi e condanne. Ricordo io stessa che, dopo trent’anni a causa di alcune sentenze, aveva ancora difficoltà a rinnovare il passaporto. La domanda che mi sono sempre posta è: perché una simile figura del cinema italiano è stata sempre “scientificamente” ignorata? Perché forse era troppo scandaloso che un uomo considerato di destra producesse i film di un uomo di sinistra? 


Alfredo Bini, per quella che è stata la mia esperienza anche di amicizia, non era né di destra né di sinistra.  Era un uomo colto, attento, dotato di un’intelligenza vivacissima e positivamente temerario, aveva quel che si dice “un caratteraccio” ma solo perché sapeva ciò che voleva e non usava mezzi termini per esprimersi. È per questo che ha pagato un prezzo altissimo? Ospitato in vecchiaia da un amico e sostenuto dalla sola legge Bacchelli, Alfredo Bini non si è mai lagnato ed ha affrontato l’epilogo della sua vita con immensa dignità . Questo è solo uno dei tanti aspetti di un produttore davvero eclettico che solo un buon libro, seriamente documentato, potrebbe raccontare. Spero sinceramente che il documentario “Alfredo Bini, ospite inatteso” di Simone Isola, che vedremo tra qualche giorno qui alla mostra di Venezia, possa aprire non solo la strada ad una sua migliore e meritata conoscenza, ma altresì mi auguro possa essere di ispirazione alle nuove generazioni di produttori. A me non resta che dire, per avermi iniziato a questa professione…grazie Alfredo.

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