Intervista a Giuseppe Culicchia: “Gli anni ’80 non sono mai finiti”

TORINO – Giuseppe Culicchia  è uno scrittore che vive a Torino. Molti ricorderanno il suo primo romanzo “Tutti giù per terra”, edito da Garzanti e insignito dei prestigiosi premi Montblanc nel 1993,  Grinzane Cavour  Esordienti nel 1995.

Un successo dal quale nel 1997 è stato tratto un film diretto da Davide Ferrario con Valerio Mastrandrea. Walter, il ventenne protagonista di “Tutti giù per terra”, oggi può emblematicamente considerarsi il primo “precario” della nostra letteratura. A tutt’oggi Giuseppe Culicchia ci ha donato, attraverso i più grandi editori, ventuno opere, uscite in Germania, Francia, Spagna, Catalogna, Paesi Bassi, Grecia, Russia, Romania, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Turchia. L’ultima, “Ma in seguito a rudi scontri”, è stata pubblicata da Rizzoli nel 2014.  Giuseppe Culicchia dal 1994 collabora con l’inserto “Tuttolibri” del quotidiano La Stampa, occupandosi di autori stranieri, dei quali ha intervistato i maggiori.  Ha diretto alcune sezioni del salone del libro di Torino. Per Garzanti, Feltrinelli ed Einaudi ha tradotto classici della letteratura inglese e francese.

  1. D.Da bambino sapevi già che saresti diventato uno scrittore?

G.C. Da bambino ho avuto l’enorme fortuna di avere dei genitori che mi raccontavano storie: non solo favole, ma anche cose di famiglia, che avevano a che vedere con l’emigrazione dal Sud (mio padre) o la guerra (mia madre). E’ grazie a loro se mi sono innamorato poi dei libri: in casa non c’erano tanti soldi, ma ogni volta che chiedevo un libro i miei me lo compravano, e io ne chiedevo tanti. Ma è stato solo a 12 anni, grazie alla lettura di Fiesta, che per la prima volta ho pensato che da grande avrei voluto scrivere storie a mia volta: il romanzo di Hemingway era riuscito a farmi viaggiare attraverso la Francia e la Spagna come i suoi protagonisti, che mi sembrava di conoscere. Erano americani vissuti negli anni Venti, non avevamo nulla in comune, eppure li sentivo vicini, e questo per me era fantastico.


D. Come hai mosso i primi passi verso la letteratura? Quali i tuoi primi maestri?

G. C. I miei primi maestri sono stati proprio gli americani: oltre a Hemingway, Fitzgerald, Bukowski, Carver, e prima di loro Mark Twain. Da loro ho imparato a far parlare i miei personaggi come persone vere, e non come personaggi letterari. Cosa che naturalmente richiede molto lavoro, dal punto di vista narrativo, perché per ricreare sulla pagina un dialogo credibile, che suoni autentico, non basta registrarne uno vero e sbobinarlo.

D. Il tuo pluripremiato romanzo d’esordio “Tutti giù per terra”, seguito dall’omonimo film di Davide Ferrario con Valerio Mastrandea, è stato un ottimo decollo. Che impatto ha avuto su di te, giovanissimo, il successo?

G. C. Devo di nuovo ringraziare le mie radici, l’educazione ricevuta: il fatto di essere figlio di un barbiere e di un’operaia tessile. E di aver trovato un editore, Gianandrea Piccioli allora direttore editoriale della Garzanti, capace di seguirmi e di farmi restare con i piedi per terra.

D.  Il ventenne protagonista di “Tutti giù per terra” cosa ha in comune con i ragazzi di oggi?

G. C. L’incertezza nei confronti del futuro, la rabbia nei confronti degli adulti che glielo hanno rubato, lo spaesamento che accompagna ogni generazione nel momento di passaggio dall’adolescenza al mondo adulto.

D.  Secondo te il mondo è molto cambiato dalla fine degli anni ’80? Se sì, in quale direzione.

G. C. Gli anni ’80 non sono mai finiti: hanno segnato la morte delle ideologie e la vittoria del dio denaro. Oggi noi stiamo vivendo un’epoca che è figlia di quegli anni: vedi l’arretramento mostruoso per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, una cosa iniziata proprio in quel decennio, che oggi – ma non da oggi – viene fatta passare come una “riforma”.


D. Oltre che scrittore e traduttore, sei anche giornalista. Quali affinità sostanziali tra questi mestieri?

G.C. Non sono giornalista: collaboro con alcune testate. La differenza sta innanzitutto nel rapporto col pubblico: quando scrivo un libro lo scrivo sapendo che finirà tra le mani dei miei lettori, quando scrivo su un giornale devo tenere presente che il mio articolo potrà essere letto da chiunque. Scrivere sulle pagine di cronaca cittadina mi ha aiutato a raccontare il mondo che mi circonda, esercitando ulteriormente l’occhio e l’orecchio, due strumenti indispensabili nella scrittura.


D. Il web ha velocizzato e globalizzato la comunicazione, ma l’ha resa anche più superficiale. Il mondo della carta stampata è in crisi. La funzione del libro resiste al cambiamento globale?

G. C. Il libro è diventato un prodotto con una data di scadenza come gli yoghurt: se non funziona, se non vende, entro un mese sparisce dai banconi delle librerie. Un meccanismo perverso, perché molti libri non hanno il tempo di incontrare i loro lettori. Lettori che in teoria avrebbero una grande possibilità di scelta – in Italia si pubblicano 60.000 titoli l’anno – ma che poi nelle librerie trovano solo e sempre le stesse cose. Siamo nell’epoca del best-seller, si vende (e si legge) solo (o quasi) ciò che vende. Il che è un danno anche per gli editori: non a caso il mercato si è contratto, e i lettori sono diminuiti. Fino a che l’industria editoriale continuerà a perseguire questa visione delle cose, non vedo grandi miglioramenti all’orizzonte.


D. Il tuo personale rapporto con la scrittura letteraria è quotidiano e metodico o necessita del fuoco ispiratore? 

 G.C. Quotidiano e metodico: il fuoco ispiratore lo lascio ai geni come Mozart, che peraltro lavorava come un matto.


D. Cosa consiglieresti a un giovane scrittore che cominci adesso?

G.C. Leggere tantissimo; trovare un lavoro che ti permetta di scrivere: vivere di scrittura è molto difficile in un Paese dove si legge poco, e agli esordi tranne rari casi è quasi impossibile.

D. Cosa più vorresti dal futuro?

G.C. Per quanto riguarda me stesso, il tempo per veder crescere i miei figli e per scrivere le cose che non ho ancora scritto; per il resto, la fine del modello capitalista, che sta di fatto distruggendo il Pianeta che ci ospita privando di un futuro vivibile le generazioni che verranno. Non ho ricette alternative, ma non credo che sia compito di uno scrittore trovarle. In teoria, c’è gente pagata per farlo.

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