Giorgio Calabrese: domani si vedrà

ROMA – Domani si vedrà, caro Giorgio: cosa accadrà domani? Come sarà il nostro futuro, adesso che la musica leggera ha perso un altro dei suoi punti di riferimento, figlio di quella magnifica scuola genovese cui dobbiamo alcuni dei più grandi artisti della nostra storia? 

Mina, Aznavour, Ornella Vanoni: nessuno di loro avrebbe avuto tanta fama e tanti riconoscimenti se non avesse avuto la fortuna di incontrare questo poeta ligure, emblema di sobrietà e mitezza ma anche volto solare e geniale di una musica che, pur non essendo “impegnata”, secondo la definizione canonica, induce comunque a riflettere.

A Calabrese dobbiamo capolavori come “Arrivederci”, “Domani è un altro giorno”, “Il nostro concerto” ed “E se domani”: canzoni in cui il testo e la musica formano un connubio esemplare, una perfezione stilistica che equivale a quei matrimoni destinati a durare in eterno, oltre la morte, persino oltre i ricordi, a diventare il simbolo di un’epoca, di una stagione, di un mondo ma anche un messaggio per le nuove generazioni, un invito a non accantonare mai la bellezza, a non lasciarsi mai sfuggire la meraviglia, a non lasciar cadere nel vuoto quei sentimenti autentici che arrivano dritti al cuore e, nella loro semplicità, finiscono con l’essere assai più veri di mille riflessioni artefatte.

Calabrese: paroliere e autore televisivo, capace di risultare serissimo senza prendersi mai sul serio, di essere un grande senza sentirsi nessuno, di regalare l’immortalità a chi ha avuto l’onore di fare la sua conoscenza e di intrecciare con lui il proprio cammino artistico e, al tempo stesso, di vivere sempre lontano dalle luci della ribalta, con il distacco tipico dei giganti che non è mai indifferenza ma soltanto sguardo critico sulla società e sulla vita.

Il suo era un incanto disincantato, uno stupore che si scontrava con le rughe del tempo e diveniva via via più maturo, senza per questo annacquarsi o, peggio ancora, svanire, una gioia interiore che amava condividere con gli altri, senza mai ergersi a giudice, senza mai mettersi in mostra, senza mai porsi su alcun piedistallo, umile fino alla fine come tutti coloro che hanno davvero cambiato, nel loro piccolo, il corso della storia.

Perché questo è stato Giorgio Calabrese: un intellettuale straordinario, un autore televisivo di buon gusto, un rivoluzionario della parola, un cantore della nostalgia con lo sguardo costantemente rivolto al futuro, una compiuta miscela di passione civile, spensieratezza e sapida ironia, scanzonata come il suo modo di intendere i rapporti umani e di condurre i suoi giorni, in armonia con se stesso e con il prossimo.

Un allegro gentiluomo: questa è la definizione che mi viene in mente parlando di Calabrese e della sua poetica.

E mi vengono in mente i suoi versi, di una forza e di un’intensità senza pari: “È uno di quei giorni che / tu non hai conosciuto mai, / beato te, sì, beato te! / Io di tutta un’esistenza / senza dare, dare, dare / non ho salvato niente, / neanche te! / Ma nonostante tutto io, / non rinuncio a credere / che tu potresti ritornare qui! / Ma come tanto tempo fa / io ricordo chi lo sa / domani è un altro giorno, / si vedrà!”.

Non so quale musica ascolteranno gli uomini fra trecento anni, ma questa canzone credo che arriverà anche a loro perché, al pari di certi capolavori della letteratura, è candidata all’eternità, assumendo significati diversi a seconda delle generazioni ma senza mai perdere la sua freschezza, il suo garbo e la sua capacità di prenderci per mano e di trasportarci, per qualche istante, nel regno dello splendore senza fine.

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