Warhol, tra ironia, disagio e connivenza cattura la società dei consumi

ROMA – Arrivano direttamente dalla Brant Foundation le 150 opere di Andy Warhol, esposte a Roma a Palazzo Cipolla,  un vero e proprio racconto iconografico, attraverso la collezione di Peter Brant, che fu non solo collezionista, ma anche amico dell’artista. 

Un percorso completo che, attraverso capolavori noti e opere invece meno conosciute, ripercorre le tappe fondamentali del lavoro di Warhol, ma anche del sodalizio culturale con Brant. 

La mostra parte dai primi disegni dell’artista che cominciò come illustratore per finire con le spettacolari ‘Ultime cene’ e gli autoritratti passando attraverso le opere più iconiche come le ‘Electric chairs’, il grande ritratto di Mao, i fiori e uno dei più famosi capolavori di Warhol, ‘Blue shot Marilyn’.

Il curatore Francesco Bonami ha spiegato: “Andy Warhol dice che non c’è nulla nell’arte che uno non possa capire, è un artista che pur avendo lavorato negli anni Sessanta è ancora molto fresco; ci sono opere che potrebbero essere state fatte ieri da un giovane artista contemporaneo. Questo credo renda accessibile al pubblico quest’idea”.

Infatti l’arte di Warhol è proprio questa, immediata, fruibile all’istante, un po’ proprio com’è la società dei consumi da lui catturata anche nei suoi simboli più banali ed elevata  agli spazi dell’arte. I soggetti apparentemente incongrui che Warhol utilizza, dalla bottiglia di Coca Cola alle scatole Brillo, ma anche gli stessi ritratti di  personaggi celebri, non sono altro che immagini di consumo ‘macinate’ a getto continuo da una società famelica, onnivora sempre alla ricerca di nuove sollecitazioni. 

Tra un misto di ironia, disagio e anche connivenza Warhol ‘rifà’ ciò che già esiste, preleva delle icone stereotipe e le reinterpreta, ce le ri-presenta, ce le fa ri-conoscere a modo suo.  Warhol insomma non inventa niente, nessuna nuova immagine, si limita solo a sceglierla, ma ripresentandocela, magari con un nuovo maquillage, con una pseudeofedeltà riproduttiva, la enfatizza, la trasforma in una nuova materia estetica. In realtà ce la fa proprio ‘vedere’ perché è spesso l’oggetto e l’immagine che abbiamo di continuo sotto gli occhi che a volte sfugge.  

Gillo Dorfles  nel suo libro “Ultime tendenze nell’arte d’oggi” a proposito di Warhol dice: ”il pubblico per la prima volta si è visto posto di fronte al valore di taluni oggetti creati dall’industria e di uso comune, di cui non aveva mai avvertito l’importanza estetica”.

Infatti tutti i simboli dell’America del consumo sono presenti nell’opera di Warhol, a dimostrazione della vittoria riportata dal prodotto di consumo sullo spazio, anche quello dell’arte e quindi anche del superamento dell’antinomia tra vita e arte. 

Baudelaire forse lo avrebbe definito “un vero pittore della vita moderna”. 

Warhol  passa, con la stessa  disinvoltura, dai ritratti in serie dei divi, ai cibi e alle bevande di consumo, alle sequenze degli incidenti, alle repliche dei fiori dai colori tanto vividi quanto antinaturalistici, creando un universo di immagini che è un po’ il ‘glossario’ iconografico del trentennio che va dagli anni ’50 agli ’80.  Sempre con la stessa apparente indifferenza e sostanziale distacco rende omaggio ai divi di Hollywood, al dollaro, alla falce e martello, alla figura di Mao… ma anche alla sedia elettrica.

Nel trattare l’immagine Warhol in fondo ripercorre le stesse  modalità linguistiche e comunicative della società di massa. Prende le immagini, le imita ma al tempo stesso le isola, le dilata, le ingrandisce, le ‘zoomma’  e poi le ripete in serie.

La serialità è infatti fondamentale in una società consumistica, la moltiplicazione  non fa altro che suggerire un senso di saturazione, di iperproduzione, appunto, consumistica. 

I celebri ritratti sono volti simili a maschere, icone pronte a soddisfare una società feticista. Warhol si concentra sul make up cromatico che dona ai ritratti quella vibrazione quasi espressionistica che è un po’ il rovescio della medaglia della sua arte. Un atteggiamento quello di Warhol di adesione alle illusioni dell’apparenza, alla drammatica superficie del mondo, farcito però di critica ironica, di cinismo, di un fondo di nichilismo e anche di senso della morte.  L’immagine artificiale, infatti, blocca la vita ma allo stesso tempo la nega, anche perché è destinata a un rapido consumo.

Insomma a 27 anni dalla sua morte la fama di Warhol dura ben oltre i suoi fatidici e ormai abusati “15 minuti di celebrità”, che sarebbero stati destinati a chiunque in un futuro, ormai diventato presente.

Andy Warhol
18 Aprile /28 settembre 2014, 
Fondazione Roma Museo Palazzo Cipolla, Via Del Corso, 320, Roma

aperto il lunedì dalle ore 14.00 alle ore 20.00 

dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00. 

Costo: 14 euro

Ridotto: 12 euro

L’ingresso è gratuito per i bambini fino a 4 anni non compiuti, accompagnatori di gruppi ed insegnanti in visita con studenti.

 

 

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