I colori di Tiepolo raccontati da Giorgio Marini, vicedirettore del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi

«Tiepolo è come un prodotto preindustriale che si vende e che conquista l’Europa»

ROMA – In occasione dell’inaugurazione della mostra Giambattista, Giandomenico e Lorenzo TIEPOLO: i colori del disegno, ospitata fino al 18 gennaio 2015 ai Musei Capitolini di Roma, il curatore Giorgio Marini, vicedirettore del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi racconta come nasce l’evento.

Tiepolo è uno dei maggiori artisti del suo tempo, apprezzato in tutta Europa, ci racconta come è nata l’idea di raccogliere in una mostra una parte così cospicua dei suoi disegni?
«Tutto è nato dalla possibilità di portare per la prima volta a Roma un artista emblematico dell’arte del Settecento italiano e europeo in un luogo rappresentativo come i Musei Capitolini di Roma. E, soprattutto, dalla possibilità di contare su delle collezioni tutte italiane ma assolutamente e incredibilmente poco note. Per esempio, metà dei disegni provengono da un gruppo di quasi 260 conservati a Trieste, che un ricco collezionista triestino, con grandi possibilità economiche riunisce alla fine dell’Ottocento, quando Trieste era una delle città dell’impero austroungarico ricca e potente. Questi disegni hanno una storia interessante perché a quel tempo, con le truppe italiane sull’Isonzo e le navi che stanno entrando nel porto di Trieste, i proprietari li spostano e li portano in Jugoslavia, a Lubiana».

In che modo poi furono riportati in Italia?
«Attraverso una lunga trattativa diplomatica. I legittimi proprietari non riuscirono per molto tempo a riportarli a casa. Solamente nel 1941 l’intera collezione di Tiepolo riesce ad arrivare in Italia. E precisamente con l’interessamento dell’allora ministro degli esteri Galeazzo Ciano, all’inizio della seconda guerra mondiale con l’occupazione italiana della Jugoslavia, arrivando le truppe a  Lubiana si riuscì a riportare con una cerimonia fastosa di italianità redenta questa collezione così importante».

Qual è l’importanza di questa collezione e che cosa possono aspettarsi i visitatori?
«Questa non è una collezione completamente sconosciuta. È però molto ricca: sono disegni interessanti perché raccontano tutta la gamma delle tipologie dei fogli di Tiepolo. Quello che ci è piaciuto sottolineare è il loro rapporto con la funzione, rispondendo a semplici ma puntuali interrogativi: A che cosa serve il disegno e che cosa aveva in mente l’artista? La gamma è davvero molto vasta: troviamo il disegno preparatorio, la prima idea fissata sulla carta in maniera automatica;  troviamo lo studio vero e proprio; e troviamo anche il disegno rifinito, che qualche volta valeva come un’opera d’arte a se stante, venduta ai collezionisti. Addirittura c’è anche il disegno fatto ex post, come documentazione, non esistendo la fotografia: sono i cosiddetti “ricordi”, da conservare all’interno della bottega».

A proposito di bottega, quella di Tiepolo è stata una delle botteghe più grandi del XVIII secolo, non è vero?
«Si. Ho detto infatti la parola magica bottega, perché con i Tiepolo si raggiunge il punto più alto di maturazione di tutto un percorso già cinquecentesco del sistema delle botteghe. Un sistema produttivo molto articolato e ben organizzato: c’è un capo bottega che lavora con i suoi figli. Giandomenico e Lorenzo, infatti, sono i principali esecutori, ma poi diversificano i ruoli, e attraverso le stampe e le incisioni di produzione diventano i diffusori di tutta una serie di meravigliose acqueforti. Soprattutto Giandomenico, il figlio maggiore, riproduce le stampe in una serie di multipli, e ha il ruolo chiave di imitare il più possibile lo stile della produzione del padre, portando avanti il marchio di fabbrica Tiepolo».

Quindi “Tiepolo” è un brand ante litteram?
«Esattamente, Tiepolo è come un prodotto preindustriale che si vende e che conquista l’Europa. Cominciano a chiamarlo in giro per il mondo. È famosissimo e molto richiesto dall’aristocrazia veneziana, per decorare le ville del territorio della Repubblica e le chiese, fino ai grandi palazzi e alle prime commissioni poi all’estero».

Per esempio, all’estero qual è una delle commissioni più importanti a cui i Tiepolo furono chiamati?
«Nel 1751 Giambattista Tiepolo ha il primo importante incarico dal principe vescovo di Würzburg, nella Franconia in Baviera. Con i figli decora i soffitti del salone imperiale e dello scalone monumentale del palazzo residenziale costruito da uno degli architetti più importanti del tardo barocco, Balthasar Neumann. Realizza una composizione con la gloria del principe, con le parti del mondo che omaggiano, fra struzzi, elefanti, cieli che sfondano la scena, attraverso un illusionismo di costruzione prospettica»

Come riesce a creare questo illusionismo prospettico?
«Lavorava con degli artisti quadraturisti che gli forniscono l’impianto visivo illusionistico di questi soffitti, che lui riempie il più delle volte con allegorie mitologiche, figure dell’Olimpo, e nelle chiese ovviamente con soggetti devozionali religiosi».

Come mai avete titolato la rassegna TIEPOLO: i colori del disegno?
«Il titolo vuole sottolineare sia quanto colore c’è nei disegni, considerati sempre un po’ monocordi sia tutte le numerose declinazioni delle tipologie che Tiepolo produce. Infatti Tiepolo non inventa nulla dal punto di vista delle tecniche, ma piega in maniera geniale le tecniche usate nel suo tempo alle funzionalità espressive che vuole rappresentare, sono in mostra disegni a penna e inchiostro, inchiostri di color ruggine di natura vegetale, fatte con la macerazione delle galle di quercia e il cosiddetto bistro, di un color grigio quasi azzurro; e ancora disegni a matita nera, carboncino, gessetti, come pure penna e pennello su traccia di matita, elemento che ci dimostra come, a volte, i disegni erano pazientemente studiati, progettati prima con la matita, nervosa e impetuosa, e poi ripassati».

La mostra è ospitata ai Musei Capitolini nel cuore della città, sappiamo che Tiepolo non lavorò mai a Roma, tuttavia esistono legami fra Tiepolo e Roma?
«Certo, e sono di varia natura. Nel 1758 Tiepolo viene contattato da un ambasciatore a Roma per due grandi pale d’altare per la chiesa nazionale dei veneti a Roma, che è la Basilica di San Marco di Piazza Venezia, cappella dell’ambasciata. Il progetto, tuttavia, non si concretizzò, sia perché la commissione, come diceva Tiepolo, aveva la gotta, sia perché c’era già aria di trasferimento alla corte del re di Spagna. L’opera quindi resta in sospeso e non verrà più realizzata. Altro rapporto con Roma avviene nel 1771 quando la Scuola Grande di San Rocco bandisce un concorso per un dipinto e i dipinti che partecipano vengono sottoposti a giudizio dell’Accademia di San Luca; ci sono già Mengs, i pittori della successiva generazione neoclassica. Il tema prescelto è quello guarda caso di Giandomenico Tiepolo: un dipinto fatto da un veneziano per la chiesa di Venezia che ha questo passaggio di approvazione romana. Inoltre, un altro grande veneziano del Settecento molto apprezzato a Roma, Giovanni Battista Piranesi, è suo allievo a Venezia intorno al 1740. Il più grande interprete dell’antichità visionaria, non riuscendo a trovare un lavoro, ha un momento di passaggio nella bottega del nostro Tiepolo».

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