Roma. Scuderie del Quirinale. Balthus fra sogno, incubo e realtà

Accolta con successo di pubblico e qualche nota di biasimo, la mostra monografica consacrata al genio pittorico franco-polacco continua a riscuotere grandi ovazioni assieme a un pizzico d’incredulità

ROMA – Come da tradizione, le Scuderie del Quirinale si distinguono per selettività e buon gusto. Dopo le suggestioni arabeggianti di Matisse. Arabesque dedicato a uno dei più noti artisti del secolo scorso, il prestigioso spazio espositivo di via XXIV Maggio rende omaggio a Balthasar Klossowski de Rola (1908-2001), internazionalmente conosciuto come Balthus, criptico (e tanto chiacchierato) maestro dell’arte figurativa del Novecento europeo.

A quindici anni dalla compianta scomparsa, la Città Eterna ne celebra poetica e singolarità con una grande esposizione interamente dedicata – Balthus, per l’appunto resa possibile sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica dall’Assessorato Cultura e Sport del Comune di Roma, dall’azienda speciale PALAEXPO, dal Ministère de la Culture et de la Communication francese e, infine, dall’Accademica di Francia a Roma, di cui Balthus fu defilato direttore per oltre tre lustri. 

Diviso in due diversi segmenti – l’imponente retrospettiva, da un lato, e l’atelier nell’elegante cornice di  Villa Medici, dall’altro – il percorso si destreggia fra quasi 200 opere, affermatema anche meno note: disegni, bozzetti, studi preparatori, inchiostri di china e dipinti su tela o cartone accompagnano il visitatore in un universo parallelo, in cui suggestioni oniriche e realismo magico, screziati da influenze rinascimentali e venati d’un espressionismo figlio dei tempi che furono, la fanno da padroni incontrastati. Sublimi e inquietanti.

Debitore alla metafisica di de Chirico nella resa degli spazi e all’armonica geometricità di Piero della Francesca, Balthus è sintesi e rivoluzione, proposta artistica scismatica fra il surrealismo all’epoca tanto in voga e l’accademismo classico della tradizione quattrocentesca italiana. Una devozione, quella verso l’orizzonte culturale del Belpaese, che viene reinventata, riadattata, sconvolta e rimasticata in modo tale da perderne le specificità più rigide, mantenendone però l’essenza più fisica e carnale: quella dei corpi statici e degli sguardi a tratti languidi, quella dei volti rivolti verso un indefinito altrove, quella dei colori che non osano e dei toni tenui che non azzardano.

Racchiusi nella familiarità d’interni altamente comuni – fra atmosfere cenerine, di color tortora vestite – personaggi sfuggenti sfilano come automi d’altri tempi, sospesi e ripiegati su se stessi, bambolotti disarticolati che spesso non si mostrano all’occhio dello spettatore, grotteschi e minacciosi, manichini stilizzati e ritti senza faccia e senza nome, figure antropomorfe e assorte, teste bestiali bizzarramente inserite che incombono sul palco del “teatro della crudeltà” messo in scena da Balthus, regista d’asciutta mostruosità.

Perché è di orrore e di estrema violenza che si tratta, di sessualità tormentata e d’incompresa fascinazione astratta.

Una tensione, quella di Balthus, più volutamente travisata che agevolmente capita; un manifesto d’atrocità e d’innocente beltà, che Cécile Debray – curatrice anche presso il Musée National d’Art Moderne/Centre Pompidou – ha saputo reinterpretare sull’onda dei più celebri estimatori del “Re dei Gatti” per eccellenza, titolo sintomatico del suo amore smisurato verso quel mondo felino che, come la sua produzione, trasuda un’allarmante enigmaticità. Spregiudicatezza, spavalderia, libertà espressiva. Un alter ego dalle mille simbologie e dalle infinite sfumature sottese.

Ed è così che angoscia e malinconia esistenziale assumono le sembianze di un gatto sorridente, di un cavallo ammiccante o di un coniglio cacciatore, parvenze non del tutto animalesche ma nemmeno totalmente umane: la bestialità dell’essere si coniuga alla mostruosità del vivere. Un realismo ideologico tagliente, quello dell’artista, che riporta sulle sue tele una visione del cosmo piuttosto ostile, pericolosa, impenetrabile.

Ed è così, ancora, che figure fantastiche di varia natura abbracciano la dimensione terrena di oggetti d’uso prettamente quotidiano. Un sofà, un letto, un tappeto, una poltroncina, un boudoir: tutto appare innocuo, lineare, assolutamente usuale, eccetto qualche dettaglio infilato con sicura nonchalance.

Balthus spiazza coi suoi contorni indefiniti, i profili sfocati e quelle sagome incongrue con l’ambiente circostante. Ma non solo.

Il ricordo di un’infanzia felice, immersa in un mondo fatto di giochi e altre amenità, si riversa violentemente in questa profondità onirica, andando a indagare temi e sfondi di un tabù tanto ieri quanto oggi: la sessualità infantile. Elevandola a manifesto programmatico, Balthus considera per la prima volta quell’adolescenza in bilico fra innocenza e sensualità, erotismo ed eccessiva indulgenza, e non esita a ritrarre i bambini Blanchard fra noia e contemplazione, le giovani modelle ancora acerbe in procinto di lavarsi, i momenti di privata riflessione fra le mura domestiche, le parentesi introspettive, le pose scomposte alla Modigliani, la leggerezza dei visi, gli sguardi ricolmi d’arroganza puerile, gli scorci rubati al Jardin du Luxembourg.

Tanti i motivi ricorrenti, altrettanti i soggetti che popolano l’immaginario balthusiano: una pittura intimista, che specialmente dopo gli anni Trenta pare esemplificare sempre più il mondo a rovescio tratteggiato da Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, capolavoro di Lewis Carroll cui Balthus deve quello straniamento e quel senso di spaesamento tipici della sua arte senza tempo, seppur calata nella modernità.

Un’estetica apparentemente surrealista – e che in realtà tale non è, perlomeno non in senso stretto – capace di declinarsi all’imperfetto dell’esistere quotidiano con risultati in gran parte inediti sullo scenario figurativo mondiale.

Per questo e per tanti altri motivi, Balthus merita più di una nota positiva. Scandagliare la galassia spaziale di una fra le personalità più eccentriche della storia dell’arte, denota audacia e lungimiranza. Ma anche avvedutezza. Difatti, riscoprire sotto molteplici aspetti la natura di un uomo che molto ha contribuito affinché le nostre paure potessero essere identificate, rappresentate, sdrammatizzate e infine superate, infonde coraggio nell’agire e una maggiore prospettiva nel vivere.

E, per chi pensa che “la (sola) bellezza salverà il mondo”, Balthus arriva come un’epifania: anche il mostruoso e il grottesco potranno farlo, con l’inestimabile ausilio dell’Arte e del Pensiero. 

BALTHUS

24 ottobre 2015-31 gennaio 2016

A cura di Cécile Debray

Scuderie del Quirinale (retrospettiva) – via XXIV Maggio 16

ORARIO: da domenica a giovedì (10:00-20:00), venerdì e sabato (10:00-22:30)

L’ingresso è consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura.

BIGLIETTI: intero 12,00 euro – ridotto 9,50 euro – ridotto 7/18 anni 6,00 euro – gratuito fino a 6 anni

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: (singoli, gruppi, laboratori d’arte) tel. +39 06 399 67500; (scuole) tel. +39 848 082 408

www.scuderiedelquirinale.it

Accademia di Francia a Roma, Villa Medici (atelier) – viale Trinità dei Monti 1

ORARIO: da martedì a domenica (10:00-19:00). Lunedì chiuso.

L’ultimo ingresso è consentito fino alle 18:30.

BIGLIETTI: intero 12,00 euro – ridotto 6,00 euro

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: (singoli e gruppi) tel. +39 06 67611; (scuole) tel. +39 06 6761243

www.villamedici.it

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