Arte. Philippe Daverio, ‘la bellezza salvera il mondo? Che bufala!’

Conversazione a tutto campo con il critico dell’arte: «Abbiamo bisogno di armonia. E all’Europa spetta salvare l’Italia»

ROMA – «La bellezza salvera il mondo? Che bufala!». Philippe Daverio la buttà là così, provocatoriamente. Un po’ come siamo abituati a conoscerlo, tra il sornione e l’affabulatore, dalle sue ormai leggendarie trasmissioni televisive che “raccontano” l’arte come nessuno aveva mai fatto prima di lui. L’abbiamo chiamato per scoprire se dopo “Passepartout”, di cui Rai5 continua a mandare felicemente repliche su repliche, ma che in realtà ha calato il sipario già da un paio d’anni abbondanti, c’è qualcosa che bolle in pentola.

Lui invece la butta sul filosofico e attacca con slancio: «Intanto sgombriamo il campo dall’equivoco mondiale. Nessuno ha mai detto nè scritto “La bellezza salverà il mondo”, tantomeno Dostoevskij ne L’idiota. Si tratta di un enorme equivoco che deriva dall’errata traduzione in “bellezza” della parola russa usata dallo scrittore».

Se non è della bellezza, allora, di cosa abbiamo bisogno?
«Di armonia. Dell’armonia di Pitagora che migliora il mondo. Perchè tra un centro storico del ’600 e una periferia contemporanea c’è una profonda disarmonia. Abbiamo bisogno esattamente del contrario. Come fare a ritrovarla? Facile. Ridiscutendo gli equilibri e agendo esattamente in questo senso».

Lei, che ha avuto diverse esperienze poliche (assessore al Comune di Milano, ad esempio), un po’ di armonia ha saputo portarla?
«Si, certo. Se penso all’esperienza di Milano, mi viene in mente l’eredità che ho lasciato. Il rilancio del Piccolo Teatro, ad esempio. Oppure la rinascita di Palazzo Reale. Iniziative molto concrete».

Oggi su cosa interverrebbe, potendo?
«Sul macroprogramma, andando a rompere le scatole direttamente all’Europa. Mi spiego: l’Europa ha l’obbligo etico di salvare l’Italia per il semplice motivo che non c’è Europa senza l’Italia. Che Europa è un’Europa senza Giulio Cesare? Senza Catone? Senza San Tommaso d’Aquino?».

E il suo “macroprogramma”, cos’è?
«Un enorme “Piano Marshall” dei Beni Culturali italiani. Penso che a questo punto sia necessario un commissariamento internazionale per i nostri beni culturali. E deve riguardare l’intera Europa, perché quando un turista entra nella Villa Reale di Monza restaurata si sente meglio fisicamente. E non solo gli italiani. Perchè i nostri beni culturali non sono solo nostri. Sono anche di un parigino, o di un londinese. O di uno di Liverpool. Quindi è giusto che paghi anche lui. Non si tratta mai di problemi locali. È un’eredità troppo importante».

Non basta quello che sta facendo il ministro Franceschini?
«Credo sia una bravissima persona, ma sono necessarie scelte e competenze. C’è bisogno di un tecnico del campo, e forse l’ultimo tecnico che abbiamo avuto alla guida del ministero dei Beni Culturali è stato Antonio Paolucci. E poi c’è bisogno di rinnovamento. Con grande rispetto per tutti coloro che lavorano a ministero, i migliori son tutti in pensione e, con loro, abbiamo perso molto».

Facciamo un gioco. Salviamo qualcosa. Cosa salviamo?
«La grande opportunità fallita dell’Italia è il Meridione. Partiamo da lì. Il sud dell’Italia avrebbe dovuto essere la California europea. Invece abbiamo costruito fabbriche alle spalle di spiagge meravigliose, come a Taranto, ad esempio. O a Piombino. Quindi ripartiamo da qui e rilanciamo la questione meridionale con parametri californiani e non ottocenteschi».

Quindi Matera capitale europea della cultura 2019, è un buon segno?
«Si, a patto che non si scada nel gesto folcloristico. Matera è stata caratterizzata da una povertà estetizzante, anche grazie a Pasolini. Ora deve diventare un luogo di qualità, superando proprio quell’immagine pasoliniana.Il passato deve diventare materiale che la contemporaneità prende e decide di lasciare ai discendenti per usarlo come uno strumento, anche economico».

Vorrebbe aprire un dibattito sull’argomento?
«Vorrei fare di più. Vorrei che qualcuno facesse un grande convegno internazionale di stampo leninista e lo intitolasse “Beni culturali. Che fare?”. In Italia questo dibattito è mancato e manca».

Ma lei, colto anzi coltissimo, perché ama così tanto la Tv?
«Perchè tre dei miei libri pubblicati da Rizzoli hanno venduto 1oo mila copie ciascuno e sono considerati dei bestsellers. Con una puntata delle mie trasmissioni raggiungo quattro milioni di persone. E siccome io punto a quel cinque per cento degli italiani che fisiologicamente hanno una sensibilità verso l’arte, e che rappresentano uno spaccato molto trasversale della popolazione, dalla commessa al professore, la Tv mi da la possibilità di lavorare proprio su quel cinque per cento».

Quindi è pronto per una nuova trasmissione in Tv?
«Assolutamente. E le dico anche su cosa: vorrei fare una trasmissione ferocemente europeista. Cioè capace di potenziare lo spirito europeo degli ascoltatori. Perché esiste un’Europa culturale completamente disattesa, rappresentata dalla mescolanza perenne delle culture dei nostri paesi dal Medioevo in poi. Perché senza Mazarino non ci sarebbe stato Luigi XIV, e senza l’influenza di Urbano I non sarebbe stata costruita Sant’Abbondio a Como. L’Europa è Giuseppe Verdi a San Pietroburgo, Sant’Agostino che l’attraversa. L’Europa è  Fermi ed è Marconi».

Un’ultima domanda: Save Italy, il movimento che ha fatto nascere quasi per gioco e che è riuscito a “dire la sua” lanciando campagne ambientaliste importanti come quella in opposizione alla discarica che sarebbe dovuta nascere poco lontano dalla Villa Adriana a Tivoli, è ancora pronto a “dire la sua”?
«Siamo prontissimi a intraprendere una battaglia per la salvaguardia e la rinascita di Poggioreale, il borgo in provincia di Trapani che fu distrutto dal terremoto di Gibellina. È semidistrutto ma ancora intatto e va assolutamente restaurato. Chiederemo che intervenga la Comunità Europea con dei fondi: bisognerà formare degli architetti e rilanciare l’edilizia, che è la grande capacità del Sud. Un progetto che però ha bisogno dell’Europa. L’Italia, da sola, non sarebbe in grado e non avrebbe neanche i soldi. L’Europa si, ed è una sua responsabilità».

Questo articolo appare su dazebaonews e ArteMagazine©

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