“Starbuck”. La commedia che ha divertito Steven Spielberg. Recensione

David (Patrick Huard) è un uomo ormai prossimo alla mezza età, abile nell’evitare finora ogni responsabilità esistenziale: famiglia, figli, un lavoro stabile e un rigido rispetto degli schemi sociali non fanno per lui. In gioventù cercò di sbarcare il lunario finanziandosi con frequenti visite presso una banca del seme, nascosto dietro lo pseudonimo di Starbuck.

Quando 142 figli di questo anonimo Starbuck decidono di intentare causa contro la clinica per sapere l’identità del padre si scopre la surreale e ben più estesa verità: le donazioni di Starbuck/David hanno contibuito a mettere al mondo 533 persone. Un intero esercito di potenziali figli e figlie, ragazzi soli e problematici che stimolano la curiosità di David. Di nascosto cercherà di entrare nelle loro vite, scoprirne i drammi e dare una mano affinché ritrovino la loro strada.

Esistenze normali, accomunate dalla stessa fortuna/sfortuna di non avere una figura genitoriale di riferimento, pronte però a ricevere una inaspettata serenità da uno sconosciuto che, in maniera quasi spontanea, saprà donarsi nelle maniere più bizzarre. Un percorso di crescita a doppio senso, poiché per David ognuno dei suoi figli sarà un passo in più verso la maturità.

Ad una trama ben articolata e ingegnosa nel concept fondamentale fa da contro un forse troppo prevedibile trionfo dei buoni sentimenti. Si ride nei momenti giusti, si cercano di prevedere possibili sviluppi, il tutto mentre si ragiona su un argomento di cocente attualità: la fecondazione assistita.
Nessun moralismo o pesante analisi psico-sociale: 533 figli e non saperlo è una commedia, da gustarsi nella leggerezza del suo vero fine, quello di far divertire. Il fatto che sia piaciuta anche a Steven Spielberg tanto da spingere la sua Dreamworks a finanziare un remake made in USA poi…

Condividi sui social

Articoli correlati