ROMA – Sul palcoscenico, soffusa una luce azzurra filtra e riflette una parete di teche che custodiscono una collezione di sedie i cui stili attraversano secoli, a simbolo del collezionismo, declinazione dell’avarizia, ossessione del possesso, del potere, dell’abbarbicarsi a una vita di inesistenti sicurezze che finiscono per devitalizzarla e deprimerla.
I personaggi classici di Moliere, bene interpretati da un cast di professionisti, tra i quali spicca l’esperienza e la verve comica di Lello Arena nei panni del protagonista, danno vita a una storia che narra una nevrosi umana, socialmente rilevante, nei secoli immutata. Arpagone, l’avaro, è un vecchio che non ama neanche i figli. Pur di tenere per sé i suoi soldi, sceglie di far sposare al maschio una vedova molto ricca e alla femmina un marchese talmente abbiente da poter rinunciare alla sua dote . Per sé, però, vuole una ragazza, bellissima anche se povera. Purtroppo quello che pretende il padre non corrisponde al desiderio dei figli: la femmina è innamorata del valletto Valerio, il maschio di Marianna, proprio la giovane che suo padre vorrebbe sposare. Da qui parte un intreccio tragicomico, al cui centro è Arpagone e la sua taccagneria: con se stesso, con i figli, la servitù, gli ospiti; il terrore del trafugamento della sua cassetta con gli averi accumulati come Paperon de Paperoni. Le pause della trama movimentata sono sottolineante da una azzeccata colonna sonora, a tratti un melodioso pianoforte, voluto da Paolo Vivaldi. Il finale, non lo racconto per chi non lo conoscesse, è un crescendo che strappa l’applauso.
Bravo Lello Arena, nei panni di Arpagone, folle, brutto, cattivo, infelice fin dalla prima battuta, ci comunica l’orrore e il peso dell’incapacità di amare. “L’avaro” è un microcosmo di persistente contemporaneità e vastità sociale, fatto di complotti, ipocrisie, opportunismi, raggiri, portati avanti da fingitori, faccendieri, mediatori, attorno al reo-confesso Arpagone, carnefice e vittima del suo mondo. Moliére ci narra con leggerezza e ironia della paura della perdita, dell’ossessione a salvarsi la vita e dell’incapacità di goderla. Citando il Vangelo secondo Matteo: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà” nel senso fisico, perché un’esistenza vissuta egoisticamente si rivela insoddisfacente, dal momento che più si ha e più si vuole avere, vuota ed esanime fino al nostro comune destino. Con la regia di Claudio Di Palma il Quirino ripropone un classico da non perdere.
Teatro Quirino di Roma
repliche fino al 27 ottobre
CIVIT’ARTE 2013 e Bon Voyage Produzioni
Lello Arena
L’AVARO
di Molière
con Fabrizio Vona Francesco Di Trio
Valeria Contadino Giovanna Mangiù Gisella Szaniszlò Fabrizio Bordignon
Enzo Mirone
musiche Paolo Vivaldi
scenografo Luigi Ferrigno
costumi Maria Freitas
foto di scena Max Malatesta
regia Claudio Di Palma