Edoardo Ribatto, io e il teatro. Intervista con l’attore ligure: “Ho sempre desiderato fare l’artista”

MILANO – Il talento di un attore si nota immediatamente. E’ una cosa fulminea, quasi impercettibile. Una sorta di emozione istantanea. Quello che colpisce di Edoardo Ribatto, 39enne attore genovese, è il suo sguardo: intenso, profondo.

Uno sguardo espressivo che trasmette sensazioni ed emozioni. La sua voce è potente e ricca di sfumature. 

La sua è una “maschera” piena di contrasti, di personaggi, di storie, di tragedie e di dolori.

Anche se giovane, ha già alle spalle una lunga e importante carriera per il teatro, la televisione e il cinema.

In 19 anni di professione, Edoardo Ribatto ha esplorato i grandi del teatro come Cechov, Shakespeare, Sofocle, Euripide, Ionesco, Kushner e Tennessee Williams tanto per citare i più importanti.  Per il cinema ha lavorato Con Pasquale Scimeca, Eugenio Cappuccio Michele Saponaro e altri. 

Mentre per il piccolo schermo è stato diretto da Antonello Grimaldi, Carmine Elia, Gianni Lepre e Luca Lucini.

Nel 2013 Edoardo Ribatto ha debuttato alla regia teatrale portando sul palcoscenico “Io sono il proiettile”, di cui è autore anche del testo basato sulla vita e sull’opera di Julij Markus Daniel. Una sorta di radiodramma straordinariamente intenso e coinvolgente in cui l’autore recita tutti i personaggi.

Abbiamo incontrato Edoardo Ribatto a Milano per parlare di teatro e recitazione nel suo appartamento in zona Sempione.

Edoardo Ribatto, quando hai capito che il tuo lavoro sarebbe stato quello dell’attore?

Innanzitutto sin da piccolo ho desiderato essere un artista e ho sempre avuto questa caratteristica che è stata la mia croce per tanti anni; la curiosità e l’interesse per i diversi media: pittura, danza, fotografia e la musica. Volevo essere il creatore di quello che facevo. L’unica cosa che non mi interessava era la recitazione. Mi ha letteralmente “buttato dentro” un mio grande maestro e artista, Antonio Porcelli. Lui mi ha detto se fossi interessato alla recitazione. Io gli ho risposto: “Proviamo”. Feci il mio primo spettacolo ai tempi del liceo.

Com’è stato l’impatto nel dover recitare davanti ad un pubblico?

E’ stata un’esperienza divertente. Era esattamente come se fossi in pantofole a casa mia. La cosa sorprendente è che tutti quanti alla fine mi dissero: “Ma non è possibile! Sembri un attore consumato”. A questo punto ci ho creduto e l’anno successivo ho fatto un secondo spettacolo. A 18 anni Antonio Porcelli mi ha portato a vedere il grande teatro di Bob Wilson con musiche di Tom Waits e testi di William Burroughs. A Genova fu un evento incredibile. Ho visto il miglior teatro in circolazione. In quel momento decisi che volevo frequentare un’accademia d’arte magari anche all’estero. Il mio sogno era la Bahaus. Primo ho inviato la documentazione all’Accademia Silvio d’Amico. Poi alla Civica Paolo Grassi di Milano. Decisi di fare i provini per la Civica e per il teatro Stabile di Genova. Mi hanno preso in tutte e due le scuole, una cosa piuttosto rara.

Mi sono trasferito a Milano perché la Paolo Grassi mi sembrava la scuola migliore. Mi volevo tuffare full time in questo mestiere e la Civica durava quattro anni a quei tempi (1993-97). L’ho frequentata con un grandissimo impegno e anche con distacco.

Hai sempre preferito fare il regista per avere il controllo totale?

Sì, in generale io voglio fare progetti miei, espressione della mia creatività, dove l’autonomia di scelta è molto alta. Questo m’interessa molto.

A proposito della regia, come sei arrivato a fare il tuo primo lavoro teatrale “Io sono il proiettile”? Com’è nato questo tuo progetto ambizioso anche in veste di regista?

“Io sono il proiettile” è nato da questa mia voglia di essere un artista e di fare le cose mie. Dieci anni fa in una bancarella di libri usati ho trovato “Espiazione” dello scrittore russo Julij Markus Daniel. Mi hanno incuriosito sia il racconto che la sua storia personale. Ho subito pensato di volerci fare un lavoro teatrale, la materia letteraria secondo me lo richiedeva. Sono passati da quel momento più di dieci anni prima che potessi realizzarlo (novembre-dicembre 2013, ndr).

Come ti è venuta l’idea di usare la tecnica del radiodramma?

Perché c’era un bando di concorso di scrittura radio-drammatica, ed io ho sempre amato tantissimo la radio e il suono in teatro. Avere un programma alla radio mi piacerebbe molto come pure occuparmi di doppiaggio. In questo Carmelo Bene è uno dei miei punti di riferimento, uno dei miei miti, proprio per il suo lavoro sul suono.

Volevi il controllo assoluto per il progetto “Io sono il proiettile”? 

Assolutamente sì il progetto era mio e non voluto delegare ad altri questo lavoro che sentivo moltissimo.

Quindi si può dire che questo spettacolo rappresenta proprio il tuo modo di intendere il teatro?

Sì, ci ho messo dentro tutta una serie di suggestioni che erano anni che volevo esprimere. Ad esempio: il mio grande tributo a Carmelo Bene per la strutturazione del lavoro acustico e sonoro, il mio amore per il musicista folk Nick Drake e per la letteratura russa. E’ anche un atto d’amore verso il cinema, specialmente nello stile dei film di John Cassavettes.

Il tuo attuale spettacolo (“Lo zoo di vetro” al teatro Menotti di Milano sino al 26 gennaio) è del grande Tennessee Williams. Per quali motivi ti piace l’autore e cosa ti ha colpito del personaggio che interpreti?

In questo testo è fondamentale il concetto di ‘geometria affettiva’: Lo zoo di vetro è un dramma caratterizzato dalla figura di una madre che è il centro piramidale di una serie di legami affettivi e coercitivi. In definitiva è il ritratto della madre di Tennessee Williams. Il personaggio che interpreto ha una funziona tragica nel testo. Noi abbiamo voluto dare un taglio diverso. Jim è un perdente anche se ai tempi del liceo era un mito. Quando entra in contatto con i personaggi della famiglia di Amanda, ha un momento di felicità di cui non era consapevole. C’è un vero struggimento, un piccolo innamoramento nei confronti della ragazza.

Ci saranno tue nuove regie in futuro?

Non vorrei parlarne…..ma la risposta è sì. Sto progettando un lavoro incentrato sulle dinamiche di potere all’interno della coppia.

Sempre con la tecnica del radiodramma?

Ancora non lo so…Sicuramente utilizzerò diversi media, ci saranno la danza, il movimento e il video. La cosa importante è che voglio fare un’indagine sui rapporti di potere nelle coppie. Non se ne può più…..

Perché dici che non se ne può più?

Perché credo che nelle coppie di oggi sia dilagato enormemente il peso del potere. E’ rimasto solo quello. Secondo me uomini e donne non si capiscono più. Hanno smarrito qualcosa di fondamentale sull’equilibrio di coppia e sui rapporti di forza; perciò sento il bisogno di fare un’indagine per capirci di più. E’ un progetto molto ambizioso: oggi però mi sento pronto per realizzarlo. L’arte non deve trovare delle soluzioni ma porre delle buone domande. 

Per concludere come vedi il presente e il futuro del teatro italiano?

Guarda, io nel presente, vedo energie straordinarie, attori bravissimi che ci provano e che non si arrendono. Il problema è, come sempre, la presenza della vecchia struttura di potere, ovvero come è organizzata la produzione teatrale in Italia e come vengono distribuiti i soldi dello Stato. Vengono spesi molti soldi ma sono trascurate le nuove energie vere e audaci del teatro italiano. Sono sicuro che alla fine vinceranno le nuove energie. Non bisogna perdersi d’animo e pian piano la piramide di potere si distruggerà dal basso. Come sempre è successo.

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