“La sedia della felicità”, l’ultimo film di Mazzacurati

Esce il 24 aprile l’opera di del regista morto a 57 anni lo scorso gennaio

MILANO – Il mondo del cinema lo aveva salutato con affetto e stima lo scorso 22 gennaio quando era scomparso a soli 57 anni. Nel corso della sua carriera aveva raccontato come pochi la realtà del nord-est (era nato a Padova, ndr) tra contraddizioni, nuove povertà, tensioni con l’immigrazione e il disagio giovanile. Carlo Mazzacurati sarà ricordato per alcune pellicole originali e realistiche come “Un’altra vita”, “Il toro”, “Notte italiana” e “Vesna va veloce”. A distanza di tre mese dalla sua morte esce il suo ultimo film. 

La prematura scomparsa di Carlo Mazzacurati ha inevitabilmente attraversato i momenti della presentazione alla stampa di “La sedia della felicità”, il film al quale il regista ha lavorato con la consapevolezza del male. In cartellone al festival di Torino nel novembre scorso, il film è di imminente uscita con “01 distribution” che lo porta in sala dal 24 aprile in 150 copie. La sceneggiatura scritta insieme a Doriana Leondeff e Marco Pettenello, si muove in un’ampia zona tra la laguna veneta e le cime nevose delle Dolomiti, ossia quella geografia molto cara al padovano Mazzacurati, territorio fisico ed esistenziale.

Nel cast Valerio Mastandrea, un tatuatore; Isabella Ragonese, un’estetista; Giuseppe Battiston, Padre Weiner, un sacerdote deciso a partecipare ad una impresa impossibile. Mastandrea per primo ricorda l’entusiasmo di Carlo sul set, dice che avrebbe voluto lavorare con lui anche prima, ma non è stato possibile, e che durante le riprese lui e Mazzacurati parlavano del suo personaggio Dino in terza persona, quasi per creare “uno scollamento antimetodo”. Battiston evidenzia la ricchezza del cast del film e, a proposito delle molte, piccole apparizioni che punteggiano lo script (Orlando, Bentivoglio, Albanese…) ricorda che Mazzacurati era sicuro di avere risposte positive, aggiungendo: ”Chi vuoi che dica di no ad un malato?”.

Isabella Ragonese precisa di avere conosciuto Mazzacurati per poco tempo e di avere comunque ricordi molto belli, tra cui il fatto di fare un mestiere che permette di rivedere Carlo ogni volta che si rivede il film: “L’ironia erano i suoi occhiali per vedere il mondo”. 

Su leggerezza e ironia concordano i due cosceneggiatori, e Pettenello precisa: “Anche in una realtà dissestata come quella del Veneto attuale, ci sono comunque esseri umani, sensibilità da raccontare, storie fatte di speranze, sogni, divertimento, felicità da raggiungere. I film che preferiva da ultimo erano quelli per bambini, quel tono favolistico che si ritrova in certo surrealismo alla Zavattini/De Sica”. All’origine del copione c’è un romanzo russo (“Il mistero delle 12 sedie”, che ha dato vita già ad alcuni film e che è rimasto solo come spunto), e conferma come Mazzacurati fosse diventato un ammiratore dei Coen e di Wes Anderson, avendo meno paura di un cinema artefatto.

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