Intervista a Iaia Forte che porta in scena Sorrentino

Al teatro Piccolo Eliseo va in scena dal 7 ottobre al 1 novembre “Hanno tutti ragione”, riduzione del bel romanzo di Paolo Sorrentino.  Iaia Forte è Tony Pagoda, il protagonista:  “Questo personaggio ci aiuta a esprimere le nostre debolezze”

ROMA – Iaia Forte è una delle maggiori attrici italiane. Nella sua lunga carriera teatrale e cinematografica ha lavorato con registi come Leo De Berardinis, Luca Ronconi, Carlo Cecchi, Federico Tiezzi, Marco Ferreri, Pappi Corsicato, Mario Martone e altri. Nel 2013 è stata una delle interpreti della Grande bellezza di Paolo Sorrentino. E proprio dal libro di Sorrentino, “Hanno tutti ragione” , ha tratto l’omonimo spettacolo, in scena dal 7 ottobre al I novembre al Piccolo Eliseo di Roma. Sul palco insieme a lei, che ha curato anche la regia, Francesca Montanino. Il testo ci fa rivivere l’esistenza del cantante napoletano Tony Pagoda, un “guappo” dall’insospettabile complessità interiore.    

Perché la scelta di interpretare Tony Pagoda, un personaggio maschile?

Mi sono innamorata della lingua del romanzo di Sorrentino, una lingua profondamente teatrale.  E poi il teatro è uno dei pochi luoghi in cui non c’è bisogno della verisimiglianza: si può applicare il gioco dell’ “essere qualunque cosa”. Avendo interpretato tanti ruoli, dalle prostitute alle suore, alle regine, ho capito che l’umano appartiene alla categoria non naturalistica dell’ “essere altro da sé”. Questo personaggio mi seduceva talmente tanto, nel suo ostentato maschilismo e nel suo romanticismo femminile, che non mi sono spaventata di fronte al fatto che fosse un uomo, anzi, questa difficoltà è stata un’occasione di crescita.

Come si fa a conciliare, sul piano interpretativo, l’aspetto esteriore di Tony Pagoda, che corre il rischio di portare al macchiettismo, e la profondità di questo stesso personaggio, che compie un viaggio di ricerca del sé?

Ho cercato sempre di tutelare Pagoda dal rischio di diventare una macchietta e le recensioni in Italia e all’Estero me lo hanno riconosciuto. Io infatti non volevo una parodia, ma un personaggio. Ho scelto di accentuare gli aspetti tragici e romantici, non soltanto quelli comici. Basta mettersi in una sintonia più profonda e più complessa, cogliere la molteplicità di quest’uomo per non cadere nel macchiettismo. Non ho fatto nulla di caricaturale, ho solo usato il corpo in un certo modo, ho alterato la voce leggermente. Credo che la verità di un personaggio si colga mettendosi all’ascolto della sua interiorità.

Lei avvicina Tony Pagoda a um’altra figura del suo repertorio, Molly Bloom. In che senso l’uno è il corrispettivo maschile dell’altra?

Pagoda mette in voce il flusso dei propri pensieri. Molly esprime la parte più estrema della femminilità, che confina con la virilità e Tony, all’opposto, esprime la parte più estrema della virilità, che confina con il femminile. Pur nella loro totale diversità, c’è una un strana specularità, sia nella forma linguistica che nell’espressione della propria condizione più intima.

La musica in questo spettacolo gioca un ruolo importante…

Canto dal vivo tre brani: due fanno parte della colonna sonora del film L’uomo in più di Paolo Sorrentino, mentre uno è di Peppino di Capri; l’arrangiamento è di Pasquale Catalano. Ho lavorato molto sulla drammaturgia musicale, perché di fondo lo spettacolo è un mini musical. Ho cercato brani che potessero accompagnare il testo, determinando una tessitura sonora capace di accentuare determinati sentimenti, o per affinità o per contrasto. Per me la musica è imprescindibile.

E la lingua?

Sorrentino è riuscito a scrivere la storia di un cantante in una lingua musicale e ritmica che suona immediatamente. È un idioma in parte inventato, uno strano “vomerese”, ma in realtà un italiano con delle battiture prosodiche particolari. Quando, come in questo caso, un testo è scritto bene, basta assecondarlo.

Dov’è l’urgenza comunicativa dello spettacolo?

Credo sia obbligo dell’attore lavorare  anche sui testi contemporanei. In Italia questo si fa poco, spesso per colpa delle strutture produttive. Pagoda, nella sua interiorità frantumata, è un personaggio molto attuale, che parla agli spettatori. Penso che anche da questo sia dipeso il successo dello spettacolo. Pagoda parla al pudore che tutti noi abbiamo nel mettere in evidenza le nostre debolezze e le nostre infelicità. Questo lavoro è necessario anche per me , perché a volte fatico a esprimere le mie zone d’ombra. Quando il teatro permette agli uomini di incontrare se stessi, in una forma più indiretta, ha già compiuto la sua funzione. Il teatro è rimasto uno dei pochi luoghi in cui l’uomo incontra l’uomo.

Che difficoltà le ha posto essere allo stesso tempo attrice e regista dello spettacolo?

Ho avuto la fortuna di lavorare con i maggiori registi italiani. Questo mi ha permesso di acquisire esperienze molto diverse. Alterno sempre alla mia attività con i registi dei lavori personali. Trovo sia importante mettere in gioco la propria immaginazione. Essendo cresciuta in un gruppo come quello dei Teatri Uniti e avendo lavorato con Carlo Cecchi e altri artisti che chiedono all’attore un’autonomia creativa, mi sono divertita a utilizzare anche la mia fantasia. 

Rispetto alle precedenti edizioni ci sono novità?

Essendo io la regista è chiaro che lo spettacolo è sempre in evoluzione. Per me un lavoro non finisce mai il giorno della prima, ma è una realtà che si modifica sempre con il tempo, come ci modifichiamo noi esseri umani.  

Lei è stata una delle interpreti del film , premio Oscar, La grande bellezza. Tony Pagoda e il protagonista del film, Jep Gambardella, hanno qualcosa in comune?

Moltissimo. Sorrentino ha delle inquietudini che incarna in personaggi diversi. Tony e Jep hanno in comune il mal di vivere, una certa forma di solitudine dissimulata in socialità, una tracotanza che nasconde difficoltà relazionali.

Cinema o teatro?

Sono sempre stata d’accordo con quello che diceva Marlon Brando: “Il teatro è degli attori, il cinema è dei registi”. Non ho dubbi: teatro. Nella mia carriera, che ormai dura da 25 anni, non ho mai trascurato una stagione teatrale per fare un film, spesso ho rinunciato invece al cinema per fare teatro.

Condividi sui social

Articoli correlati