Teatro Ghione. “Arsenico e vecchi merletti”. Recensione

Al Ghione rivive un classico delle commedie quale “Arsenico e vecchi Merletti con Ivana Monti, Paola Quattrini e Sergio Muniz. Quando le vecchiette la sanno lunga in fatto di eutanasia…

ROMA – Più nota per l’adattamento cinematografico che ne fece nel 1944 Frank Capra, Arsenico e vecchi merletti è una spassosissima commedia scritta nel 1939 dallo statunitense Joseph Kesselring e calcata negli anni da una rosa di pregevoli interpreti tra cui, in Italia, si ricorda la coppia Dina Galli-Rina Morelli che insieme ad un cast comprendente  Paolo StoppaOlga VilliGuido VerdianiArnoldo Foà e Cesare Fantoni diede vita, per la regia di Ettore Giannini, alla prima edizione nostrana della pièce. Difficile reggere il confronto con quei mostri sacri di carattere ed interpretazione ma in questi giorni ci ha provato il regista Giancarlo Marinelli che, chiamando due attrici di lunga carriera ed assoluta verve quali Ivana Monti e Paola Quattrini, ha saputo riadattare il testo in funzione dell’epoca, del carisma interpretativo e della fantasia emozionale che ne guida la scrittura noir alquanto surreale. Al Teatro Ghione è infatti in scena, con un nutrito ed assortito organico composto in primis da Sergio Muniz (fonte di originali ed umoristiche variazioni testuali, data la sua origine spagnola) e Andrea Cavatorta, Paolo Perinelli, Serena Marinelli, Peppe Bisogno, Francesco Maccarinelli e la partecipazione di Paolo Lorimer. 

La vicenda, come ben noto,  ha come protagoniste due apparenti povere vecchiette che fanno opere di bene avvelenando, con sorsi di vino al sambuco corretto all’arsenico e da loro stesse preparato, attempati forestieri soli al mondo convenuti nella loro abitazione per trovare un alloggio temporaneo. Con le ziette Abby e Martha deve combattere Mortimer Brewster, severo critico teatrale e terzo fratello di un altro pericoloso assassino (Jonathan) sopraggiunto in casa dopo anni di latitanza e di un disturbato mentale, Teddy,  convinto di incarnare il presidente Theodore Roosevelt. Il “Canale di Panama, luogo immaginario dove quest’ultimo seppellisce – credendoli vittime di guerra o traditori della nazione – i cadaveri, è la cantina dello stesso appartamento, fonte di incontri e di vicissitudini che ingarbuglierà gli avvenimenti ma sarà sempre solo evocato.

La chiave surrealista è sicuramente la nota di colore che maggiormente permea la messa in scena di questa versione sui generis: per rappresentare il luogo degli incontri, dei delitti, dei rincontri, dei patteggiamenti, dei pericoli in vista, delle promesse di matrimonio (tra Mortimer e la sua paziente fidanzata che abita nel vicinato),degli arresti e soprattutto degli equivoci, il regista ha immaginato una enorme simbolica teiera, gioia per gli occhi insieme ai giganteschi chocolate chip cookies e cucchiaioni che accompagnano la scenografia, nonché funzionale ai continui spostamenti laterali e verticali dei personaggi coinvolti. Non c’è mai un cambio di scena (se tralasciamo una boutade dello zio americano in mutande e cilindro nell’avansipario), ma vi è un particolare studio delle prossemiche che produce istintivamente un ritmo crescente, spesso spezzato da deliziose musiche anni Cinquanta (ovviamente made in USA) nelle quali i personaggi escono dal ruolo per divertirsi a coreografare i propri movimenti.

Affinità elettive ed affinamento caratteriale per le due primedonne Monti-Quattrini che con un savoir fare unico dimostrato nella mimica facciale, nell’andamento gestuale e nel batti e ribatti della conversazione criminale dai toni pacati, ironici ed esilaranti, conferma vincente la scelta interpretativa che ciononostante soggioga, ma a fin di bene, la seppur forte presenza scenica di Muniz, nipotino per bene, ma impazzito e schiacciato dai fatti funesti. Equilibrata la recitazione della sua promessa-cacciata-e-ritrovata dolce metà (che riveste i panni di Serena Marinelli), mentre grottesca e acutamente ponderata la liaison del fratello crudele dalla faccia rifatta stile Nosferatu (convincente ed inquietante, ma mai macchiettistico nonostante il personaggio ritratto, è Paolo Lorimer) e del suo socio-pseudo chirurgo plastico dall’accento tedesco (Cavatorta). Brillante l’esibizione del poliziotto aspirante drammaturgo (Perinelli) che sfocia in un divertente assolo stile semi-burlesque, come raffinato e totalmente stralunato – perfetto anche nel physique du role della trama, Peppe Bisogno, il nipote Teddy, felicemente tormentato dal suo alter-ego presidenziale. Insomma, senza pretese, ma col gusto di trasformare in favola argomenti attuali di un profondo spessore quali l’eutanasia e i rapporti familiari (naturali o sopraggiunti), la produzione del Ghione sembra essere uno degli spettacoli più brillanti, interattivi (si ride e sorride in continuazione) e ben riusciti di questa lunga stagione teatrale. E, dopo Roma, che il 9 gennaio ospiterà una speciale edizione in LIS per spettatori sordi, la tournée continua…

Arsenico e vecchi merletti

di Joseph Kesselring

con

Ivana Monti, Paola Quattrini, Sergio Muniz

e

Andrea Cavatorta, Paolo Perinelli, Serena Marinelli, Peppe Bisogno, Francesco Maccarinelli, Paolo Lorimer. 

regia Giancarlo Marinelli

Teatro Ghione di Roma

dal 17 dicembre al 10 gennaio

Condividi sui social

Articoli correlati