Taormina 62. Rebecca Hall racconta la donna che si suicidò in diretta

Attrice di primissimo piano Rebecca Hall, nel suo ultimo film,  interpreta  Christine Chubbuck, la giornalista televisiva affetta da disturbo bipolare che nel 1974 si suicidò in diretta

TAORMINA (nostro inviato) Il Palacongressi di Taormina ha accolto in un caloroso abbraccio una protagonista assoluta della cinematografia internazionale, ossia l’attrice londinese Rebecca Hall, interprete di film quali : “The Prestige” del 2006 e “Frost/Nixon – Il duello” nel 2008 (anno in cui ha incarnato Vicky in Vicky Cristina Barcelona, ruolo che le è valsa la candidatura ai Golden Globe) ; “The Town” (2010), “Iron Man 3” (2013),“Transcendence” (2014) e ” Regali da uno sconosciuto – The Gift” (2015); “Il GGG – Il grande gigante gentile” del 2016  . Ha inoltre riscontrato grande successo nelle serie tv ottenendo anche il prestigioso BAFTA quale miglior attrice non protagonista nella miniserie TV “Red Riding”, impersonando Paula Garland e conseguendo la nomination quale migliore attrice protagonista per la serie tv “Parade’s End” per il ruolo di Sylvia Tietjens.

Di grande interesse anche la profonda interpretazione nel film “Christine “(2016), sotto la regia di Antonio Campos, incentrato sul suicidio, in diretta, della giornalista televisiva Christine Chubbuck, depressa ed affetta da sindrome bipolare e segnata da una competizione per una promozione nella sua carriera, un amore non corrisposto ed una turbolenta vita familiare. 

Come è avvenuta la conoscenza di una storia così intensa?

L’impatto iniziale è stato convenzionale, nel senso che mi è stata proposta la sceneggiatura ed ho letto con estrema attenzione. Mi sono resa conto di quanto fosse forte e sconvolgente il tema tanto da aver quasi deciso di trascurare una sceneggiatura così forte , che in realtà mi aveva già avvinto. Ma poi ho deciso che era qualcosa di importante da interpretare, di vero ed intenso.

Come ti sei documentata su Christine Chubbuck, la giornalista suicidatasi nel 1974?

La storia ha avuto un epilogo tragico dato dal fatto che la giornalista televisiva si suicidò nel 1974, durante una trasmissione televisiva. L’evento non è noto qui in Italia e neanche tantissimo negli USA. Per ispirarmi avevo solo un video di venti minuti, in cui Christine conversava con degli ospiti della sua trasmissione di argomenti non rilevanti. In questo video già si avvertivano i sintomi delle sue problematiche. Ho cercato di ricostruire l’essere umano che era dentro la storia personale, ho cercato di capire cosa ci fosse dietro il fatto di cronaca.

In che modo Il film racconta i momenti antecedenti il suicidio?

Abbiamo ricostruito le due settimane che precedevano quel momento senza cercare di volere porre troppo l’accento sui perché più veri del gesto estremo, perché erano noti solo a Christine. Abbiamo mostrato la storia di una donna purtroppo caratterizzata da problemi psichiatrici forti, con l’esito che conosciamo.

Perché Hollywood ha paura di raccontare le storie di donne con fragilità e problematiche forti, cosa che non accade con tematiche similari per gli uomini?

Io generalmente, come attrice, ho preso quasi un impegno a rendermi interprete di ruoli femminili complessi che spingono a porsi domande. Confermo che è vero: Hollywood, tradizionalmente, non ama questo genere di figure complesse al femminile, ma occorrerebbe che si modificasse questo atteggiamento.

C’è differenza tra cinema europeo e statunitense? 

Non si possono negare le differenze tra i due tipi di cinematografia, che nascono anche dalle diversità culturali e storiche dei due contesti. In aggiunta il sistema cinematografico americano è costituito da una struttura molto grande, estremamente legata al concetto di business per cui i film di successo anche, economicamente parlando, sono necessari a sostenere l’intera struttura mentre, secondo me, in Europa ci si concentra maggiormente sul mercato interno ed i suoi gusti piuttosto che su quello estero e su dinamiche e logiche diverse da quelle che negli Stati Uniti sostengono l’elevato volume di produzione filmica che, come ho già detto, è più legato al business.

Cosa ne pensi dell’etichettare alcuni film definendoli con un “tocco femminile”, cosa che ad esempio la Sarandon, presente qui a Taormina, non ha apprezzato?

Sulla definizione di film cosiddetti al “femminile” posso dire sicuramente che odio queste categorizzazioni, questi cliché. Anche perché ci sono film fatti da donne (così come da uomini) che affrontano storie e temi universali e non di genere e con visioni generali e  non di parte o con sensibilità da attribuire a questo o quel sesso. Inoltre forse in Europa ci sono più ruoli importanti per donne rispetto a quanto accade negli USA.

Hai detto che vorresti fare una commedia leggera, quando in realtà spesso fai film in cui sei una donna complessa o sofisticata. Forse anche per il tuo accento “british”. Perché secondo te?

Non lo so, sarà forse proprio per il mio accento “british”. In realtà gradirei molto fare delle commedie intellettuali, sullo stile di alcune del passato, come quelle che vedevano attrici quali Katharine Hepburn, confrontarsi con protagonisti maschili in modo schietto, conciso, deciso ed ironico.

Al Taormina film fest si è parlato di famiglia e si dice che tu ,quando incontri nuove persone, chiedi loro delle proprie storie familiari.

Le storie familiari di ogni persona sono estremamente individualii e quindi interessanti, per questo quando conosco qualcuno chiedo sempre la storia della famiglia, perché ogni storia familiare è un mondo nuovo e particolare.

Ne” Il GGG – Il grande gigante gentile”di Spielberg c’è un’idea particolare di famiglia, essendo sia la bambina che il gigante orfani. La famiglia, per te, è quella che abbiamo o quella che ci scegliamo?

Sicuramente è una storia sulla paura della solitudine. Da piccola lessi il libro da cui è tratto il film e mi accorsi subito di questo. Personalmente, io ho una famiglia molto variegata e mi ritengo molto fortunata per questo. Al contempo esistono anche le “famiglie” che creiamo con gli amici e le persone con le quali condividiamo il nostro tempo. 

Richard Gere (presidente onorario del Taormina film fest) ha parlato del film che state facendo insieme. Che film è “The dinner”?

Nel film sono una specie di moglie di Gere. E’ tutto incentrato su una cena di quattro persone e narra di un evento tragico avvenuto prima della cena. E’ un film coraggioso.

Come scegli i tuoi ruoli?

Non ho una sola regola. Cerco di scegliere progetti diversi da quelli che ho appena fatto. Ho fatto una commedia romantica dopo una serie televisiva in cui si trattava anche il tema della sedia elettrica. Quello che è maggiormente importante per me è la scrittura e quindi la sceneggiatura.

A parte ruoli di commedia leggera, che non hai ancora interpretato, quale altro ruolo vorresti interpretare?

Non so dare una risposta giusta. Ancora ,in realtà, devo scoprirlo.

Sei stata diretta da W. Allen, B. Afflleck e S Spielberg. Puoi dirci qualche caratteristica di ognuno che ti ha colpita particolarmente?

Su Allen, se ne dicono di tutti i colori. Si dice che non faccia leggere la sceneggiatura che non parli molto sul set. Con me è avvenuto tutto l’opposto ed è stata una bella esperienza lavorare con lui. Con Affleck l’impatto è stato diverso, perché oltre a dirigere in realtà è e si sente molto attore e quindi chiede spesso la collaborazione, anche creativa e di idee, sul set trattando da pari a pari con tutti. Spielberg ha un incredibile animo profondo e buono che lo porta a fare film sentimentali, nel senso buono del termine: tende a mostrare sempre il lato buono delle cose e della vita.

Come hai ricreato il percorso emozionale di Christine e come hai saputo mostrare agli altri quello che provava?

Ho dovuto cercare di capire cosa la segnasse così negativamente. Nel 1974 non si classificava facilmente il suo disturbo e non si usava il litio per curarlo. Ella capiva di non essere come gli altri ma cercava di essere come gli altri: cercava di comprendere se fosse capita nel suo dolore e nella sua sofferenza. E’stato un percorso emozionale difficile. Dal punto di vista recitativo, quando prendi in mano una pistola sul set, anche se sai che è finta, il tuo corpo genera un’adrenalina fortissima, quasi non comprendi se la pistola sia vera o falsa e quasi ti poni in quella situazione con timore, oltreché comprensione, per un qualcosa che tu non faresti mai nella vita.

Hai mai pensato di scrivere e/o dirigere un film ?

Almeno privatamente , ho sempre scritto, sin dai 12 anni. La recitazione ha però preso il sopravvento. Non ho sempre creduto di potere fare più cose: ho messo parecchio tempo a mostrare le mie sceneggiature anche solo a persone a me vicine. Ora lo faccio anche a persone del mio ambiente e farò un cortometraggio a breve.

Hai definito Christine come una donna con una gran voglia di vivere, nonostante il gesto finale. Perché?

Ritengo che nel caso di Christine , si trattasse di una persona che,  soffrendo di depressione ed essendo  tendente al suicidio, lottasse ogni giorno con luna forte voglia di vivere che aveva dentro. Preciso che questa mia idea deriva da quanto ho letto nella sceneggiatura e quanto saputo della sua vita. Ossia non voglio generalizzare, sostenendo che valga per tutti i casi simili. Ma in lei leggevo questa voglia di vivere pur nel potente conflitto con la sua depressione. Spero che quando vedrete il film non lo troverete, vista la tematica sofferta, deprimente, poiché si incentra sulla “compassione” verso Christine, provata da tutti coloro che hanno collaborato a questo film. E’ un film che, nonostante tutto, dona una voglia di vivere.

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