L’intervista. Richard Gere ci parla dell’incredibile Norman

ROMA – Richard Gere è l’antidivo. In pubblico è lontanissimo da qualsiasi eccesso, vezzo ed esternazione bizzarra. Lo abbiamo incontrato dopo la proiezione de “L’incredibile vita di Norman” nella sala del cinema Quattro Fontane a Roma.

La sua è stata un’entrata tranquilla, conciliante. Nessuna guardia del corpo o corte dei miracoli a seguito. Solo lui, accompagnato dalla traduttrice. Mocassini, jeans, camicia celeste e il suo sorriso, sereno non seduttivo. Saluta in italiano la platea, composta solo da giornalisti, con un cordiale ‘ciao a tutti’. Prima di accomodarsi, attendendo che sia la traduttrice a sedersi (un vero gentiluomo), si rivolge alla stampa. 

“A causa del jet leg mi sento estremamente fragile. Poverino (in italiano)(sorride). Voi dovete essere molto, molto gentili (in italiano). Siccome siete così generalmente duri con me, mi rendete la vita così difficile, almeno una volta siate carini e affettuosi. Grazie, grazie mille (in italiano).”

Questo film parla anche dell’amicizia. Cosa può dirci in proposito?

“Questo film è un gioco, un imbroglio, un faccia a faccia tra Norman e il Primo Ministro Israeliano. Ci sono solo due scene, ma importantissime che narrano dell’amicizia tra i due. La prima scena della scarpa, di quando lui la infila al piede del Primo Ministro. È un simbolo importante e in quella scena ho iniziato a improvvisare. Volevo fargli indossare la scarpa, quando l’avrebbe indossata, quando l’avrebbe accettata avrebbe accettato l’amicizia. Nella seconda scena vediamo l’incertezza di Norman in fila per salutare il Primo Ministro a distanza di anni da quel primo incontro. Amicizia riconosciuta e rinvigorita dal Primo Ministro e poi terminata con il gesto del cellulare che il politico getta nell’acqua. Altro aspetto e che l’amicizia deve cedere il passo al compromesso per un fine più alto ossia l’attività del Primo Ministro volta a portare avanti il trattato di pace in corso. L’amicizia può sopravvivere sulle transazioni.”

Siamo lontani dalla sua filmografia. Come ha lavorato sul personaggio?

“È stato  facile lavorare sul personaggio Norman è esattamente come io sono. Joseph (Joseph Cedar, il regista) voleva cambiare il mio volto per distaccare il personaggio dalle altre mie interpretazioni.  Io gli ho chiesto di farmi le orecchie a sventola e questo è stato tutto.  Norman è un personaggio tipico newyorkese ebreo dell’Upper West Side. Nella mia memoria ci sono molti Norman, li ricordo tutti. Quindi il personaggio è venuto fuori con estrema facilità. Ho solo lasciato che si materializzasse da solo”.

A lei è mai capitato di essere stato vittima di un Norman oppure lo è stato lei all’inizio della sua carriera?

“C’è un Norman in ogni cultura, in ogni settore: economico, artistico… c’è sempre un nucleo di persone che controlla tutto, un gruppo di privilegiati con potere e soldi e ci sono persone che cercano di avere un’entrata in questi ristretti circoli di potere. Ciò che contraddistingue Norman è che pur essendo un imbroglione ha un cuore buono. La qualità esistenziale che lo contraddistingue è che vorrebbe davvero dare ciò che promette”.

Forse con questa interpretazione, decretata la migliore della sua carriera da tutta la stampa americana, l’Accademy si accorgerà di lei assegnandole un Oscar. Le interessa oppure le è indifferente?

“L’Oscar mi permetterebbe di fare un maggior numero di film indipendenti”.

Nei suoi ultimi film, e Norman ne è l’ennesima dimostrazione, il suo percorso è lontano da Hollywood. Lei realizza progetti diversi dai suoi primi film puntando su giovani promesse. 

“La mia sensazione è che io continui a realizzare gli stessi film dell’inizio della mia carriera ossia film complessi e interessanti. La sola differenza è che all’epoca erano gli Studios a produrli, oggi non li producono più. I film oggi devono avere budget bassi ed essere realizzati in tempi brevi. Per girare Norman abbiamo impiegato solo trenta giorni. L’aspetto particolare degli ultimi film è che sono stati realizzati insieme a due sceneggiatori e registi israeliani”.

Nei suoi ultimi film ha collaborato con OREN MOVERMAN. Parlate sempre di potere e dei vinti. Nel film, il Primo Ministro parla della vita come una ruota che gira, capace di portare al picco più alto e poi a quello più basso. È questa la sua visone della vita?

“Questo sali e scendi vale per tutti, ci sono ci sono momenti di felicità e momenti di tristezza. Ogni singolo respiro è un giro di ruota. Ma non è questo a spaventarci, anzi è l’esatto contrario. La difficoltà si palesa in noi quando percepiamo la vita come qualcosa di costante, di permanente, in cui nulla muta.  Solo quando riusciamo a capire l’alternarsi allora possiamo accedere alla felicità”.

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