Teatro. Intervista a Paolo Triestino: “Dietro un cretino spesso c’è una grande intelligenza”

Paolo Triestino, insieme con Nicola Pistoia, è il protagonista nonché il co-regista de “La cena dei cretini”, in questi giorni in scena al teatro Manzoni di Roma.

ROMA – Al teatro Manzoni della capitale è in scena un classico del teatro contemporaneo, LA CENA DEI CRETINI di Francis Veber, affermato commediografo francese. Il lavoro è stato scritto nel 1993 (Le dîner des cons) e, visto il successo ottenuto, nel 1998 ne è stato tratto un piacevole film. Abbiamo avuto il piacere di scambiare alcune impressioni con Paolo Triestino, uno dei protagonisti di questa commedia. 

La scelta di questa piéce di Veber da cosa è stata suggerita?

 In effetti, era un testo che avevo in animo di fare da tanti anni: l’ho sempre adorato, perché l’ho trovato molto divertente, seppure lontano dai nostri soliti. Noi cerchiamo sempre di fare la commedia italiana, ma non avevamo fra le mani un’opera che ci convincesse e allora mi è venuta in mente La Cena dei Cretini, una commedia che, pur essendo ambientata in Francia, aveva  in comune con i nostri spettacoli la stessa cattiveria. Si ride, ci si diverte molto, ma sempre con quel pizzico di asprigno, che a noi piace tanto. Sotto sotto il testo è bello cattivello”

 E’ bello cattivello, senza dubbio; ma è anche elegante, come da costante regola della scrittura francese.  Per sintetizzare questo lavoro in una frase, potremmo dire che a volte i cretini si riscattano?

“Sì, a volte i cretini si riscattano, sono perfettamente d’accordo, anche perché dietro un cretino spesso c’è una grande intelligenza.”

Tu, da attore, come ti sei sentito nel passare dal ruolo di “carnefice” a quello di “vittima”? Hai fatto un lavoro interiore per compiere questa inversione di rotta?

Il personaggio di Pierre Brochant è certamente difficile da rendere teatralmente: fatalmente restava sempre un po’ in ombra, perché pur essendo lui il protagonista, le battute più belle ce l’hanno François Pignon e Lucien Cheval. Io invece ho cercato di dargli un’umanità, una vibrazione, una contraddizione interna insomma, pensando che alla fine anche i cattivi hanno un’anima, come si evince dal testo. Io tutte le sere in scena faccio davvero una gran fatica con l’anima, per essere al servizio delle battute fulminanti di Nicola e degli altri miei colleghi, ma sento che alla fine Pierre Brochant, pur con la sua cattiveria iniziale, grazie alla sua redenzione finale, da antipatico, piano piano entra nel cuore degli spettatori.”.

Avete fatto qualche piccolo adattamento rispetto al testo originale?

“Poca roba, qualche taglio, qualche piccolo aggiustamento, abbiamo cercato soprattutto di non farne una farsa, com’è capitato in altre precedenti edizioni che avevo visto, un po’ troppo farsesche.  Funzionavano, per carità; però alla fine, quello che si chiama messaggio non può pervenire: tra tanta presa in giro, è difficile far arrivare anche quel poco che vuoi fare arrivare, ad esempio quel minimo di commozione, di emozione, che si prova quando il cretino capisce perché è invitato alla cena; oppure la disperazione di Pierre quando intuisce che non riuscirà più a recuperare la moglie. Insomma abbiamo sempre perseguito l’equilibrio tra la risata e il messaggio: questo è il lavoro che abbiamo fatto!”.

                                                 

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