Teatro Quirino . “Il berretto a sonagli “di Sebastiano Lo Monaco: la follia rende liberi

ROMA – Sebastiano Lo Monaco porta in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 23 dicembre Il berretto a sonagli. Si conclude quindi in bellezza il trittico pirandelliano che ha visto rappresentate sul palcoscenico romano le altre due opere emblematiche dello scrittore siciliano, Sei personaggi in cerca d’autore Il fu Mattia Pascal. 

Il tema dell’apparenza mantenuta a tutti i costi, anche a discapito della dignità; la follia come unica “valvola di sfogo”, sola opportunità di libertà per l’uomo condannato alla sua farsa infinita, sono solo alcuni dei temi – contemporanei come lo erano un secolo fa – che Pirandello porta in scena col Berretto a sonagli. I due personaggi principali, Ciampa e Beatrice raccontano sul palco i due volti dello stesso dolore: il tradimento subìto dai due – lei dal marito e lui dalla moglie, rispettivamente amanti – provoca in loro reazioni opposte. Beatrice, furiosa ed esasperata, architetta un piano per sorprendere gli adulteri in flagrante ed essere così vendicata. Ciampa, invece, tenta con tutti i mezzi di salvare l’apparenza, di pulire le “macchie d’olio” indelebili che hanno insudiciato il suo onore, fino a sacrificare sull’altare della follia Beatrice, specchio delle sue fragilità.

Sebastiano Lo Monaco cura la regia e interpreta uno dei personaggi divenuti sacri nel suo repertorio di attore-regista. Il suo Ciampa si muove storto sul palco, quasi piegato sotto il peso del dolore e del non detto. Si mostra chiuso di spalle e di bocca – recluso d’amore e d’onore – per poi liberarsi, all’improvviso, attraverso la battuta ironica o i sofismi del suo pensiero. Beatrice ( Marina Biondi ) ci appare continuamente sull’orlo dell’esaurimento, in un’altalena tra urla, risate e lacrime. La commedia reale, “nata e non scritta” per stessa ammissione di Pirandello, si manifesta nei dettagli di umanità che rendono questi Beatrice e Ciampa meno “pupi” e più vivi, nella fragilità della loro rabbia e della loro dignità derisa.

Salta all’occhio una cura particolare nei confronti dei personaggi cosiddetti minori che si agitano sulla scena, entrando e uscendo, suonando campanelli che fanno trasalire. Così si enfatizza e si gioca con l’ingenuità di Fifì ( Claudio Mazzenga ) o con la professionalità un po’ dubbia del delegato Spanò ( Giovanni Santangelo ), che tiene molto alla giustizia, ma anche ai rapporti coi suoi compaesani. Si ride con la Signora Assunta ( Clelia Piscitello ) tutta impettita nei suoi abiti da alta borghesia ferita nell’onore; ci si consola con la saggezza della serva fedele ( Lina Bernardi ). E questo ha l’effetto di alleggerire il grottesco, trascinando il pubblico in una risata liberatoria. Laddove Ciampa costringe lo spettatore a riflettere sulla propria condizione di “pupo” manovrato e disprezzabile, interviene, ad esempio, un divertentissimo botta e risposta – esemplare per velocità e ritmo – tra lui e l’ingenuo Fifì.

Le scenografie di Keiko Shiraishi disegnano un po’ di Giappone nella Sicilia di inizio Novecento. Il primo atto apre il sipario su un terrazzo da villa padronale, come se ne trovano tra le più belle pagine di Dostoevskij. Tre teli dipinti con alberi fioriti, coprono e lasciano intravedere gli alberi “reali” sullo sfondo. È la luce ( Nevio Cavina ) a mostrarci la finzione, a sbatterci in faccia, all’improvviso, impietosa, la costruzione della finzione teatrale. Quando Ciampa ci svela la nostra realtà di burattini sulla scena, la luce cala e rivela la finzione: gli alberi sono solo disegni, lo “strappo nel cielo di carta” di Mattia Pascal.

La luce – che diviene rossa, viola, blu, a seconda delle passioni che si animano sul palco – e la musica ( Mario Incudine ) accompagnano le scene più intense e chiarificano, in tal modo, i sentimenti taciuti, rendendoli espliciti e finalmente udibili.

L’atto finale si chiude su un interno elegante, con grandi vetrate e mobili in stile liberty, dove la commedia (umana) dell’alta borghesia può giungere alla risoluzione finale: l’esaltazione della pazzia come unica speranza di verità e redenzione. Lo Monaco rappresenta il battesimo alla follia di Beatrice in modo magistrale, forse il punto più alto della rappresentazione: il suo Ciampa scandisce il dolore e la vergogna, mentre Beatrice, tradita e umiliata, diventa il pupo nelle sue mani. La sbatte – marionetta priva di forze – da una parte all’altra del palco, fino a condurla – per abbandono – alla follia simulata. Mentre la sorregge di fronte al pubblico le rivela – ci rivela: “basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”.

Sebastiano Lo Monaco emerge su tutti, per interpretazione e personalità. Ed è anche giusto che sia così. Perché è difficile, oggi, non riconoscersi in questa commedia, noi moderni Ciampa, rosi dalla gastrite nel tentativo vano di salvare una vita di apparenze: “sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d’ingozzare, che c’infràcidano lo stomaco! Il non poter sfogare, signora! Il non poter aprire la valvola della pazzia!”. Consci però – fortunatamente – dell’unica chiave che ci regala il nostro amato Pirandello: la follia ci renderà liberi.

Teatro Quirino di Roma  fino al 23 dicembre

Sicilia Teatro
in collaborazione con Festival La Versiliana – Pietrasanta
e Teatro Luigi Pirandello di Agrigento
SEBASTIANO LO MONACO   MARINA BIONDI
IL BERRETTO A SONAGLI
di Luigi Pirandello
regia SEBASTIANO LO MONACO

con la partecipazione di Clelia Piscitello

e con Claudio Mazzenga   Barbara Gallo   Giovanni Santangelo    
Lina Bernardi   Maria Laura Caselli

costruzione scene Keiko Shiraishi
costumi Cristina Da Rold
musiche Mario Incudine
luci Nevio Cavina

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