Cannes 70. Cinque classici da non perdere

CANNES – Come ogni festival che si rispetti anche Cannes  si ricorda dei classici.  Prima della proliferazione del cinema in televisione e sul web i festival  erano l’occasione  preziosa per scoprire o rivedere  i film già usciti dalla normale programmazione.

A Roma, ad agosto una sala cinematografica in pieno centro, che non esiste più da anni, proiettava  ogni giorno un film diverso di Greta Garbo. Ci incontravi i veri cinefili, giovani e  meno giovani, che passavano l’estate  insieme con la “divina” (e non c’era ancora  l’aria condizionata).

  Sulla Croisette i figli e i nipoti di quegli irriducibili cinefili ferragostani possono vedere o rivedere  film indimenticabili di registi  straordinari o con interpreti famosi,  titoli che al cinema non vedi più da decenni. Fra quelli proposti nel 2017, ecco la nostra personale cinquina. 

Belle de jour, di Luis Bunuel, vinse il Leone d’oro a Venezia nel 1967. E’ il film che rimanda immediatamente alla sua protagonista femminile, Catherine Deneuve, ben oltre la qualità dell’uno e dell’altra. I pomeriggi della moglie annoiata di un medico parigino colpirono all’epoca la fantasia delle platee benpensanti e il film fece epoca. La Deneuve, giovanissima, ebbe un lancio straordinario per una carriera che dura ancora e che l’avrebbe portata a diventare una vera diva del cinema francese. In Italia piacque perché sposò  il nostro  Mastroianni, dandogli una figlia anch’essa attrice. Ma è giustamente diventata la prémiere dame del cinema d’oltralpe. 

Blow Up   è dell’anno prima, il 1966, quando vinse  a Cannes la Palma d’oro. C’è chi lo considera il miglior film di Michelangelo Antonioni, non ebbe un grande successo di pubblico ma  resta un film importante per aver posto sul tappeto  argomenti e considerazioni che in quello scorcio di anni Sessanta suscitarono qualche emozione nel pubblico giovane: soprattutto a motivo della figura del fotografo di moda londinese (interpretato da  David Hemmings), che da un ingrandimento credette di aver scoperto un delitto. Ma non è un giallo, non è nelle corde di Antonioni,  allora riconosciuto maestro dell’incomunicabilità.  

La bataille du rail di René Clément è del 1946, ma in Italia uscì solo nel 1954 con l’inopinato titolo  di Operazione Apfelkern.  Senza una vera struttura narrativa, è ambientato  alla vigilia dello sbarco alleato in Normandia e racconta le gesta dei ferrovieri francesi per contrastare l’invasore nazista. La scena madre è il deragliamento di un treno tedesco: è ripresa dal vero con l’impiego di tre macchine da presa. Del resto, René Clemént, un ex documentarista amava girare con il massimo realismo possibile, in questo caso scritturando autentici ferrovieri. Sul filone della Resistenza  francese negli anni successivi Hollywood ha fatto le cose più in grande con potenti mezzi e grandi interpreti,  mentre Clemént aveva dovuto lavorare in circostanze fortunose. Ma il risultato è straordinario, il suo film è avvincente e commovente insieme.

Le salaire de la peur di Henry Clouzot  è del 1953, in Italia è uscito con il titolo Vite vendute, ha nella colonna sonora di  G.Autric una canzone che da noi  ebbe più successo del film. E’ la storia di quattro stranieri che in una zona sperduta del centro America con due autocarri  trasportano  per centinaia di chilometri quasi una tonnellata di nitroglicerina che sembra sempre stia  per esplodere. Una narrazione mozzafiato che rivela la maestria di Clouzot nel creare suspense senza darne l’impressione. Interpreti diventati famosi:  Yves Montand, Charles Vanel, Peter Van Eyck, il nostro Folco Lulli bravissimo, la moglie Vera Clouzot. Gran Premio della Giuria a Cannes e menzione speciale per Vanel.

L’empire des sens di Nagisa Oshima è del 1976, si ispira ad un raccapricciante fatto di cronaca avvenuto a Tokyo negli anni Trenta: al culmine di uno furioso rapporto sessuale che porta l’uomo alla morte  la donna, una  giovane cameriera non meno sfrenata, completa il suo possesso recidendogli gli organi genitali. Non è un film erotico  nella più banale accezione, ma “la rappresentazione di un rito, dove  il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte  vi sono indissolubilmente legati” (Morandini). Il film, uscito con il titolo Ecco l’impero dei sensi,  subì dalla nostra censura un taglio di almeno un quarto d’ora, che fu rimpiazzato pedestremente da immagini tratte da altri film  giapponesi. Il pubblico di Cannes potrà goderselo intero.  

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