Teatro Eliseo. “Americani”, David Mamet e bravi attori. Recensione

ROMA – Già negli anni Ottanta Luca Barbareschi aveva portato nel teatro italiano i testi di David Mamet traducendo alcune delle sue opere più importanti, tra cui “Glengarry Glen Ross”, Premio Pulitzer 1984 e successo cinematografico del 1992 con la sceneggiatura poi integrata dallo stesso Mamet.

Non c’è da stupirci se in questa epoca sempre più devastata dalla crisi economica, dai tracolli in borsa e del reinventarsi del lavoro, l’attuale direttore artistico del Teatro Eliseo abbia scelto di inaugurare la nuova stagione con lo stesso testo reclutando una serie di attori che per espressività artistica possono essere definiti gli alter ego dei personaggi presenti nel testo. 

In primis Sergio Rubini, anche regista dello spettacolo, che impersona un fastidiosissimo e petulante Daniele Sonnino (Shelley Levene), riempiendo di tic e frustrazioni il protagonista personaggio-cardine della vicenda. La sua è una recitazione basata sulla punteggiatura di un testo ricco di pause ma anche ponderatamente schizofrenica, nella disperazione, personale e professionale, che lascia trapelare ad ogni attacco col suo principale. Quest’ultimo è impersonato da Gianmarco Tognazzi (Tommaso Mariani, alias John Williamson): il low profile del capoufficio viscido e dipendente dai grandi capi, senza un filo di commiserazione per le tragedie intime dei salesman che coordina, è resa da uno sguardo, falso e distaccato, che si nasconde sotto la montatura di occhiali vintage: Tognazzi si agita poco, ma il suo non-gesto in scena rende moltissimo: del resto la punteggiatura di silenzi nei testi mametiani è sinonimo di una precisa poetica. 

C’è poi Francesco Montanari (nel ruolo che fu al cinema di Al Pacino, Ricky Roma) e la sua faccia da “Romanzo criminale” ben si sposa alla determinazione del personaggio più ambizioso della pièce: smanetta, sgomita, urla, impreca ma sa anche dare prova di una lucida introspezione psicologica, volutamente coercitiva per il suo interlocutore, nel celebre monologo sul senso del “cogli l’attimo” nella vita. A seguire, un irriconoscibile Roberto Ciufoli nel ruolo di Giorgio Arnone (George Aaronow): impiegato in disgrazia e per di più complessato, pervaso da sensi di colpa per un reato se non altro commesso a parole. La poliedricità di quest’attore, già dimostrata in teatro in testi non solo comici, si ritrova nel lasciarsi correre all’interno della ragnatela dei dialoghi, di cui è maestro per i botta e risposta e le tempistiche di reazione, sorprendendo tra dramma e ironia con la battuta al posto giusto. 

Giuseppe Manfridi, che oramai calza il ruolo di attore dopo le meravigliose commedie scritte nell’arco di oltre vent’anni, è il personaggio più sintomatico, più caratterista, più incisivo nei suoi silenzi: l’immagine parla al posto del suono, il balbettio e l’insicurezza ritraggono alla perfezione il classico personaggio frustrato dalla vita e soggiogato dalla moglie (Gianni Boni, alias James Jim Lingk) facile da catturare, circuire e truffare. Federico Perrotta è l’ Ispettore Balducci (Baylen), collante degli interrogatori degli impiegati dopo la rapina subita e personaggio-ruolo di fondamentale appoggio per gli sfoghi dei vari indagati. Dulcis in fundo, l’attore che ha nostro avviso è emerso di più per carattere, tempi, prossemica, gestualità, variazioni vocali su carattere e frustrazioni del personaggio: Gianluca Gobbi, che nelle vesti di Giacomo Mossa (Dave Moss) ha saputo “bucare lo schermo” (in questo caso il sipario) nelle due sole apparizioni in scena. Ironico, divertente, irriverente, sicuro di sé e provocatore, Gobbi sa parlare col fisico, con l’espressione del volto, con il totale coordinamento del gesto alla parola proferita e fa uso di una multiforme tonalità per esprimere concetti che anche nel copione più noioso sveglierebbero uno spettatore sonnacchioso.

Uno spettacolo da vedere, in scena per fortuna con lunga tiratura fino al 30 ottobre e che, proprio a partire dalla recitazione “caratterista” dei suoi interpreti (che forse smorzano un tantino il linguaggio volutamente violento dell’autore rendendolo quasi familiare), nonché dai dialoghi mametiani che, per quanto trasposti geograficamente a Roma (e la satira sugli agenti immobiliari diventa feroce e altamente comica in questo ambito), continua a far riflettere sulla condizione di precarietà dell’essere umano, sulle sue aspettative frequentemente deluse, sul suo ricaricarsi e scaricarsi come nel su e giu’ di un’altalena di fronte all’imprevisto (sempre dietro l’angolo); ma anche e soprattutto un’analisi della società che non poggia più su valori ideologici ma sulle condizioni dettate dal Capitale nel convincimento che se un valore esiste non è quello di ‘essere’ ma di ‘avere’. 

Americani

Glengarry Glen Ross

di David Mamet

Traduzione Luca Barbareschi

Adattamento di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi

Con

Sergio Rubini

Gianmarco Tognazzi

Francesco Montanari

e con

Roberto Ciufoli

Gianluca Gobbi

Giuseppe Manfridi

Federico Perrotta

Scene Paolo Polli

Costumi Silvia Bisconti

Luci Iuraj Saleri

Regista collaboratore Gisella Gobbi

Regia Sergio Rubini

Produzione TEATRO ELISEO

TEATRO ELISEO

Da martedì 27 settembre a domenica 30 ottobre 2016

Orario spettacoli

martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00

mercoledì e domenica ore 17.00 – mercoledì 28 settembre ore 20.00

 HYPERLINK “http://www.teatroeliseo.comwww.teatroeliseo.com 

Condividi sui social

Articoli correlati