Teatro India. “Strategie fatali”. Recensione

ROMA – Dalla sala B dell’India arriva una buona notizia: il Teatro italiano è ancora vivo. A confermarcelo sono i 7 talenti veri della compagnia Musella-Mazzarelli, che avrebbe voluto darci la notizia per mezzo di un’architettura drammaturgica intricata, mentre è riuscita a comunicarcela con la coralità felice dell’interpretazione e un linguaggio vivissimo sulla scena. 

Strategie fatali è il quinto testo scritto da Lino Musella e Paolo Mazzarelli, che sono passati entrambi per la Paolo Grassi di Milano e da alcuni anni condividono progetti, case e rischi. 

A partire dal 2000, hanno dato vita a un percorso di ricerca che si sforza di trovare un linguaggio capace di raccontare la realtà (e l’illusione). Due cani, Figlidiunbruttodio, Crack Machine e poi Società, in cui allargano lo spazio recitativo ad altri attori, per arrivare, in un crescendo di complessità a Strategie Fatali: 7 attori sulla scena, 3 storie che si intrecciano (si ingarbugliano), sedici personaggi, in un’indagine che ha come filo conduttore il Teatro, ontologico e pratico. 

Uno spettacolo da vedere, perché in scena ci sono 7 draghi, ognuno diverso e necessario a suo modo, perché i dialoghi funzionano alla perfezione, perché ci si diverte, immergendosi nei ritmi e nell’intelligenza di professionisti veri e di una parola brillante, corposa.

Strategie fatali si ispira a due testi che, a un’indagine profonda, hanno delle affinità Les stratégies fatales del filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard e l’Otello di Shakespeare. Una riflessione ottima per un saggio ermeneutico, molto meno per uno spettacolo. Tre storie. La prima: due investigatori anomali ed esilaranti che cercano in un teatro un ragazzino scomparso (Giacomino). La seconda: la prova di Otello che si trasforma in una macchina di perfetto gioco degli equivoci, tra illusione e realtà, scatenando un meccanismo di comicità irresistibile, mentre si avvia una riflessione sull’ “osceno”,  sulla pornografia, sul simulacro e così via. La terza (del tutto avulsa drammaturgicamente e nociva allo spettacolo): tre emissari della Compagnia delle opere Pie vogliono abbattere un teatro per costruire un ospedale, e per farlo devono però acquistare una porzione della sala da un’elettricista teatrale che si è arroccato lì, dove vive con il suo compagno, l’arabo Amin (e qui gli autori, con citazione di Pippo Del Bono e i suoi microfoni, provano a infilare dentro a forza cinquantacinquemila tematiche differenti: l’omofobia, l’emarginazione, la critica alla chiesa che ci sta sempre bene, la paura del diverso, il disprezzo per i rom, il terrorismo e chi più ne ha più ne metta). L’interpretazione che Musella fa del prete è eccezionale, un piccolo capolavoro di recitazione, e sono bravi tutti, ma la storia non regge.

Come si capisce da questo breve accenno, la costruzione drammaturgia è spossante per lo spettatore, che quando – dopo quasi due ore – si chiude la seconda storia, applaude felice, come a dire: “Bravi ragazzi, siete proprio bravi, non ci abbiamo capito niente o quasi, ma ci avete persuasi lo stesso, perché siete freschi e pieni di gioia teatrale. Va bene così. Il teatro è importante, bisogna tornare all’enigma, tornare all’illusione. Ora ne siamo convinti”. E poi arriva invece anche la fine della storia degli investigatori, che ci eravamo dimenticati nel frattempo, perché ci bastava come prologo, metafora dell’indagine. Tutto questo per dire, con Baudrillard, che bisogna “illudere, sempre illudere. Sventare le strategie banali con le strategie fatali”, cioè combattere l’illusione della realtà con l’illusione del teatro. Che peccato, che due attori così intelligenti e dotati siano caduti nella trappola dell’intellettualismo, affascinati, si può capire, dal filosofo che voleva farci “dimenticare Foucault”.

La Compagnia Musella-Mazzarelli ha vinto il premio Hystrio 2016 alla drammaturgia. Un riconoscimento meritatissimo per il loro percorso, per un linguaggio drammaturgico fantastico. Però questo premio può danneggiarli, se gli autori prenderanno alla lettera la motivazione snob con cui gli è stato assegnato: “un meticoloso lavoro di scrittura a quattro mani, che nasce da idee, canovacci, spunti condivisi. Per poi strutturarsi attraverso il lavoro scenico, creando architetture sempre più complesse e ramificate”. Una motivazione volutamente snob (il piacere metaparaesegetico delle strutture parametalivelliche), per una struttura drammaturgica involontariamente snob. Come se i maggiori testi teatrali della storia non ci dicessero da millenni cose profonde con strutture semplici. Strategie fatali vorrebbe dire cose complesse, con una struttura ancor più complessa e rischia di dirci cose banali, con una struttura confusa. La speranza è che quel premio Hystrio, invece che tendere ancor più la trappola del cerebralismo in cui cadono molti attori-autori, sproni Musella e Mazzarelli – due interpreti, Musella in particolare, come pochi se ne vedono sulle nostre scene – a continuare il loro percorso drammaturgico, ma a sciogliere nella semplicità la complessità, che qui è più che altro un’inutile complicazione. 

L’attore è spesso così, un’anima sensibilissima, affascinata da ogni stimolo, che vorrebbe interpretare, per dirla con il Thomas Bernhard migliore, “lo Shakespeare totale”, 700 cambi scena e 1500 personaggi in uno spettacolo che descrive l’essenza stessa del reale. Un insuccesso assicurato. “Scritto, diretto e interpretato”: ecco la formula che ucciderà il teatro. Perché di Eschilo, di Molière, di Eduardo ce ne sono pochi. Come si può pensare di prendere un saggio di Baudrillard, il suo “pensiero radicale”, l’opposizione tra filosofia dell’oggetto e filosofia del soggetto, incrociarlo con Shakespeare, per la tematica dell’illusione, dell’immagine interiore, e pretendere che lo spettatore ci segua senza sfinirsi e un poco detestarci? 

C’è in Strategie fatali lo stesso difetto di tanti romanzi contemporanei, stile perfetto, intuizioni esplosive, genialità, inseriti in strutture narrative in cui la molteplicità dei livelli, che solo pochi sanno maneggiare a dovere, rassicura l’autore e sconvolge il destinatario. La lotta nobile a una visione semplicistica della realtà, si traduce nel gusto difficilista dell’imperscrutabile. Di fronte al nodo gordiano della ragnatela di Strategie Fatali, come Alessandro Magno, lo spettatore prenderà la spada e taglierà di netto: “Cara compagnia Musella-Mazzarelli mi piaci, perché, pur non capendo un tubo, ho seguito il gioco scenico e mi sono divertito da morire, grazie” oppure “Non mi piaci, perché ho cercato di decifrare le cabale delle tue speculazioni e mi si è impicciato il cervello, ti eviterò in futuro”. 

Ecco alcuni riassunti del teatro mondiale. Edipo viene abbandonato dai genitori, ma anni dopo, non potendo riconoscerla, si sposa con la madre naturale che nel frattempo è rimasta perché Edipo sempre senza riconoscerlo ha ucciso il padre. Generano  insieme quattro figli, quando lo scoprono lui si acceca e lei si toglie la vita. Romeo e Giulietta si amano, ma le famiglie contrastano il loro amore, loro si suicidano e le famiglie fanno pace. Sì, certo, lo sviluppo dell’azione ci dà qualche dettaglio in più, ma ci avvince e non ci affatica. Eppure per millenni continueremo a capire cose fondamentali grazie a queste storie semplici e ci interrogheremo con gusto. 

Ovviamente Strategie fatali ha tanta ricchezza, tanti spunti felici e il gioco su Otello poteva essere l’unico nucleo su cui, con chiarezza, inserire alcune tematiche (poche però) e offrirle al pubblico. Per voler dire troppo, invece, si dice confusamente, si corre il pericolo paradossale di semplificare senza rendere semplice. Ed è un vero peccato, perché gli attori il saggio intellettuale lo devono scrivere sul loro corpo, non attraverso una costruzione drammaturgica babelica. Ed è ancor di più un vero peccato, perché Musella e Mazzarelli hanno un linguaggio, una parola drammaturgica che trapassa la quarta parete, ma non devono cedere all’insicurezza dell’attore, sfiduciato nelle proprie capacità espressive, convinto di dover ricorrere a chissà quale sistema di pensiero. Il pensiero siete voi sulla scena cari Musella e Mazzarelli, voi, come Marco Foschi, Annibale Pavone, Laura Graziosi, Astrid Casali, Giulia Salvarani. Fatevi applaudire,  non interpretare. 

Umanità in movimento

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Dal 25 gennaio al 5 febbraio al Teatro India

STRATEGIE FATALI

testo e regia di Paolo Mazzarelli Lino Musella

scritto e diretto da Lino Musella_Paolo Mazzarelli

con Marco Foschi, Annibale Pavone, Paolo Mazzarelli

Lino Musella, Laura Graziosi, Astrid Casali, Giulia Salvarani
costumi Stefania Cempini 

sound design e musiche originali Luca Canciello
direttore tecnico dell’allestimento Roberto Bivona 

assistente alla regia Dario Iubatti


MARCHE TEATRO in collaborazione con Compagnia MusellaMazzarelli

 

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