RomaFictionFest. Trois fois Manon, l’adolescenza feroce. Recensione

ROMA (nostro inviato) – Avere quindici anni non è sempre facile. Soprattutto per la giovane Manon, quella che potrebbe essere definita troppo semplicemente “una ragazzina problematica”: salta la scuola da mesi, non parla, ha continui scatti d’ira e comportamenti al limite dell’ossessivo. Finché una sera attacca la madre accoltellandola allo stomaco e viene rinchiusa in un centro di rieducazione femminile.

È uno sguardo crudo e diretto sulla violenza adolescenziale quello rivolto da Jean-Xavier de Lestrade nella mini serie in tre puntate Trois Fois Manon (“Tre volte Manon”) che dopo il grande successo in Francia sul canale Arte è stata presentata al RomaFictionFest.

Manon soffre di un male di vivere insaziabile, divorata da una rabbia interiore che si rivolge contro tutto il mondo esterno, indistintamente. La sfida di questa fiction è quella di individuare i contorni di questo malessere, registrandone gli effetti per capirne l’origine precisa. Jean-Xavier de Lestrade tenta di risalire questa inquietudine, che nasce da un rapporto burrascoso con una madre soffocante, che sommerge la figlia con parole amorevoli e cariche d’odio allo stesso tempo, la abbraccia e la stringe con tutte e due le mani per baciarla, ma sembra quasi volerla stritolare o colpire. È un male sordo, quello di Manon, perfettamente sintetizzato da uno dei personaggi nell’ultima puntata: “Ci sono dei genitori che mettono semplicemente al mondo i figli, e altri che donano loro la vita”.

Come spiega Gaia Tridente, direttore della programmazione internazionale del festival, la serie “non è lontana da un certo cinema d’autore francese che ci riporta al film La Schivata (L’Esquive) di Abdellatif Kechiche e apre una porta sul difficile mondo dell’adolescenza. Il punto di vista è quello della giovane Manon Vidal nel suo universo composto di fragilità e voglia di riscatto, che accompagnano la quindicenne attraverso un percorso di rinascita o di ritorno dall’Ade, grazie a continui rimandi alla tragedia greca di Orfeo e Euridice”.

La serie affronta anche il tema dei centri rieducativi per i minorenni creati in Francia nel 2002 come alternativa alla prigione e fortemente contestati dalle associazioni per la protezione dell’infanzia, perché spesso senza personale adeguatamente formato, senza psicologi e educatori capaci di aiutare i giovani a reinserirsi nella società. In questo spazio così chiuso, lontano da tutto, alla sofferenza di Manon e delle altre ragazze si scontrano due tipi di risposte: quella aggressiva, che reprime, del direttore del centro, e l’altra piena di attenzioni e cure di un piccolo gruppo di educatori sensibili.

Manon sembra combattere un’eterna guerra contro il mondo, senza che nessuno la possa aiutare e senza volersi far aiutare da nessuno. Ma a poco a poco, grazie a una serie di personaggi positivi, impara a controllare i suoi scoppi d’ira, a parlare di sé e a liberarsi della sua rabbia.

Scritta e girata con estrema cura, fino a sembrare quasi un documentario, la serie è attraversata da una sensazione di tensione costante e si fonda tutta sulla performance della sua giovane protagonista, Alba Gaïa Bellugi. Al fianco delle altre attrici, anche loro impeccabili, riempie lo schermo con la sua presenza soffocante, malata, ma anche sensibile, tenera e bisognosa di affetto. Come ha scritto il celebre settimanale francese Les Inrockuptibles, “la ferocia di Manon è quella di una innocenza perduta, la sua pacificazione è quella di una parola ritrovata”.

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