Libri. “Ilva Football Club”, intrecci di vita nel campo di calcio di Tamburi

TARANTO – L’Ilva, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa ha fatto parlare di sè, da qualche anno a questa parte, per la crisi ambientale generata dall’inquinamento prodotto e per i problemi legati al futuro dei lavoratori dopo il sequestro da parte della magistratura e il commissariamento dello Stato.

Le acciaierie, infatti, sono state espropriate ai vecchi proprietari, la famiglia Riva.

Quello dell’Ilva è un nodo che stringe la città di Taranto. O meglio, a stringere in una morsa il capoluogo pugliese sono due necessità apparentemente inconciliabili: da un lato la tutela della salute, messa a repentaglio dal degrado ambientale, dall’altro la necessità del lavoro, ancor più acuta nel Mezzogiorno d’Italia dove si scontano antiche arretratezze economiche.

Di Ilva si è molto scritto in tempi recenti. Soprattutto dopo l’azione giudiziaria, datata 2012, c’è stata una produzione sovrabbondante di articoli e libri attraverso i quali si è cercato di analizzare i fatti dal punto di vista economico, sociale, politico, antropologico. Ultimo in ordine di tempo, ma certamente differente per la scelta degli autori di analizzare il caso Ilva, è un libro pubblicato da Kurumuny, editore salentino. Si chiama “Ilva Football Club” ed è stato scritto a quattro mani dai giornalisti tarantini Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò, redattori della storica testata pugliese “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

Il libro mette in evidenza il rapporto tra la città e lo stabilimento siderurgico, visto grazie all’aiuto di una lente d’ingrandimento particolare, quella del calcio praticato al quartiere Tamburi. Un territorio diventato il simbolo dell’inquinamento a causa delle vicine acciaierie Ilva. Pochi sanno che una vasta moltitudine di operai hanno giocato su un campo di calcio, poi chiuso perché contaminato dai minerali della fabbrica. Il libro, in questo senso, racconta una storia particolarmente significativa che traccia un quadro umano e intenso. Romanzo e racconto insieme, offrono una narrazione corale che racchiude in sè le voci di chi vedeva le ciminiere dal campo di gioco e in modo contraddittorio, attraverso la pratica calcistica, correndo su un campo erboso in cerca dell’agnognata  “aria aperta” e soprattutto una distrazione dalla dura realtà della fabbrica.

Ilva Football Club  non solo tesse il filo della memoria, rimandando agli anni del calcio operaio, ma è anche un romanzo d’amore: nella storia del giornalista nato e cresciuto al quartiere Tamburi che riavvolge il nastro di quel periodo dai calci a una palla a quel primo bacio che vola nel tempo e nei ricordi come la rondine a cui è dedicato il libro.

Storie di quartiere, di amore, di pallone, di destini intrecciati tra loro: la città e la fabbrica. Tutto parte dalla “maglia grigia”, indossata dal protagonista durante un torneo. Una maglia che tanto somiglia al fumo che sprigiona l’Ilva, color siderurgico.

Inseguendo i ricordi di quella maglia, trasformatosi in un simbolo, ci si imbatte in alcuni personaggi straordinari e indimenticabili: un commerciante che fu grande atleta nel calcio amatoriale e un allenatore che seppe essere un maestro di vita per quei giovani.

Il libro è dedicato anche al padre di uno dei due autori, scomparso a causa del cancro. Anche lui viveva nel quartiere Tamburi, faceva il salumiere e come un confessore raccoglieva gli sfoghi degli operai alle prese col “mostro” d’acciaio. Sullo sfondo Taranto, stretta dalla crudele morsa dell’acciaio che ancora le impedisce di costruire memoria e futuro.

Si dipana così la vicenda di un Ulisse catapultato negli anni drammatici in cui l’Ilva, all’epoca Italsider, era il totem fasullo di un tragico benessere; fino alla trasfigurazione della vicenda nel grande racconto collettivo di undici, anonimi, campioni. L’Ilva Football Club, squadra ricostruita immaginando di mettere insieme le “figurine” di alcuni tra i tanti che a Taranto lasciarono la giovinezza sul terreno del campo sportivo Tamburi vecchio: a un passo dalla fabbrica più inquinata d’Europa, a due dal cimitero dove le polveri minerali colorano di rosso le lapidi.

E’ stato definito la “Spoon River” dei campi di calcio in terra battuta, Ilva Football Club, ed è una definizione precisa. Su quello “Spoon river” si è scritto un pezzo della disastrosa parabola industriale del Mezzogiorno d’Italia, attraverso la lente del calcio giocato in un quartiere-simbolo. Vite perdute e vite che resistono nella trincea della memoria. Lo slancio di chi non si arrende a un destino e crede possibile ancora giocare l’ultima partita, la partita della vita, a prescindere dal risultato.

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