L’energia dello slancio collettivo: i “Letizia drums” in concerto

ROMA – Come pioggia come mare in tempesta come un fiume in piena ventisette ragazzi riempiono il palcoscenico e saturano l’aria dell’immensa sala che li circonda della loro musica, della loro passione, dell’energia che si sprigiona dai loro esseri.

Sono i “Letizia drums”, ma non bisogna farsi ingannare dal nome, perché non suonano semplicemente percussioni: suonano i loro corpi, e non semplicemente perché battono il ritmo anche sul loro corpo: suonano l’energia interiore.

E la sala risponde. Si lascia trasportare dalla musica, balla, batte le mani, chiude gli occhi e scuote la testa, si lascia andare al ritmo e alle emozioni che questo gruppo riesce a fondere come l’acqua per il cioccolato. Siamo al Circolo degli Artisti per l’evento che il ristorante indiano “Il Guru” di via dei Serpenti a Roma ha organizzato a sostegno del progetto “Mother&child foundation” nato nel 1995 dalla volontà del proprietario del ristorante Thomas Myadoor, a cui devolve i proventi del locale come dei tanti eventi come questo, per sostenere le ragazze madri con i loro bambini, feccia da abbandonare persino per le loro famiglie per tutta la società indiana.

Un progetto che in 19 anni ha costruito la residenza con annessa scuola, spazi per attività culturali e artistiche, e che ha permesso di reinserire nel mondo degli studi e del lavoro già diversi ragazzi, con risultati straordinari. Capace di fondere solidarietà, armonia e determinazione verso obiettivi di eccellenza, questa fondazione non poteva non trovare l’appoggio di un gruppo la cui storia si è composta con gli stessi tasselli. E il risultato, è eccellenza. Tecnica perfetta, tempi al millesimo di secondo, la sinergia di un orologio svizzero riescono ad emanare una musica che ha una forza d’impatto straordinaria, dentro la quale suona la gamma delle emozioni, ma non le più scontate. Un esempio è “Isola”, un momento di sola voce e chitarra dal quale ci si aspetterebbe banalmente dolcezza, e che invece Paolo trasforma naturalmente in un momento di verità, capace di far convivere il bisogno d’amore con la necessità di preservare il proprio spazio. O “Gigi”, dove il rap di Antonio, attraversato dal controcanto di Emiliano insieme producono un ringhio che restituisce a questo ritmo afroamericano la sua primigenia spinta di rottura che successo e commercializzazione hanno inghiottito nel clichét.  E ancora “Hurricane”, dove la coralità delle percussioni raggiunge l’apice della potenza, chiudendo il cerchio con l’apertura di  “Panama-Cuba”, dove il ritmo prodotto dalle mani con le mani o sui corpi non lascia spazio a considerazioni ma solo alla contaminazione.

Questa è la loro musica: mondo interiore che si libera, si esprime, e comunica. 

“Quando suono sparisce il mondo che ho davanti – dice Giuseppe – ed entro in un mondo mio, e questo è quello che esprimo”, “la musica appartiene a tutti, non alle scuole – dice Emiliano – dove la selezione elimina l’originalità di ciascuno”, “noi suoniamo la musica che nasce da dentro ciascuno – dice Giorgio – con tutte le nostre differenze, ma mettendoci in gioco tutti, ognuno a suo modo”. Ognuno esprime il suo punto di vista, ma c’è un unico punto di vista che è la stella polare per tutti, ed è lo zenit del progetto: la condivisione. “La musica è condivisione di qualcosa con qualcuno”, “è la propria capacità al servizio degli altri”, “è il superamento dell’individualismo”, “è l’elemento essenziale”. Tanti modi con i quali ciascuno chiarisce la profonda consapevolezza che quel che trasmettono suonando è prima di tutto la capacità di stare insieme, di integrarsi uno nell’altro, di comunicare. E questo è quel che comunicano.

Il gruppo, nato dal progetto di Mauro D’Alessandro, musicista percussionista con un curriculum di peso (dallo studio di diversi stili, da Giovanni Imparato a Orazio Hernandez, ai mille laboratori in Italia e all’estero, ai progetti nelle carceri e in situazioni disagiate, al teatro con Marco Solari o Pippo Del Bono) nasce all’interno del centro di riabilitazione psichiatrica Villa Letizia, dove “io tenevo un laboratorio musicale propedeutico di chitarra – racconta Fabio, operatore della struttura -. Dopo l’avvio del laboratorio di Mauro, abbiamo cominciato a provare insieme, finché questo si è rivelato un percorso di fusione che in tre anni ci ha portato alla creazione del gruppo”. 

Un gruppo che ha messo insieme pazienti, operatori, tirocinanti senza distinzione alcuna, e che ha cominciato a camminare insieme per le strade del mondo, si potrebbe dire, perché già sono diversi i concerti che hanno dato, a Roma e non solo, a cominciare da quelli a sostegno della campagna #Sipuòfare per l’uso pubblico del S. Maria della Pietà, riscuotendo ovunque grande successo. E sempre autosostenendosi, anche attraverso la vendita delle magliette con il logo dei “Letizia drums” e del cd, sempre autoprodotto. E la cosa bella è che mentre loro dicono che senza Mauro tutto questo non sarebbe stato possibile, perché “Mauro si mette in gioco al 100 per cento”, Mauro dice che senza di loro il progetto non sarebbe esistito, perché lui non insegna ma impara da loro. Una sinergia perfettamente sintetizzata dalla scritta sulla schiena delle magliette: “da soli si fa prima, insieme si va lontano”. Dovremo comprarla in molti, come promemoria.

 

http://www.maurodalessandro.org/

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