Inverso. Intervista a Carlo Picone, il musicista scientifico

ROMA – Carlo Picone, leader degli “Inverso” si definisce un ragazzo metodico ma allo stesso tempo creativo: un uomo di scienza ma con una spiccata vena artistica. Una contraddizione in termini, ma forse no, dipende da quale prospettiva si guarda il mondo. È questa la filosofia degli “Inverso”, gruppo cantautoriale romano, che spazia dal genere folk al pop-jazz e come afferma il suo stesso nome, preferisce non seguire la corrente e imbrigliarsi in un genere predefinito, ma scegliere un sound originale, giocato su ritmi nuovi, che ricordi le quattro stagioni e le diverse latitudini della Terra: da Oriente a Occidente.

Un primo album dal nome antitetico “La pioggia che non cade”, in linea con il pensiero del suo fondatore Carlo Picone – vocalist e musicista a tutto tondo – che abbiamo incontrato per saperne di più.

Musica o cinema: cosa farai da grande?

“Non c’è bisogno di scegliere. Si possono fare entrambi. Ogni giorno, tutti noi indossiamo una maschera, recitiamo un ruolo, siamo attori di noi stessi. Non a caso, persona in latino significa maschera.”

Com’è stato allora vestire i panni dell’attore e allo stesso tempo collaborare alla sceneggiatura del tuo primo film musicale “La pioggia che non cade”?

“È stata un’esperienza bellissima e coinvolgente, di quelle che ti segnano e per questo devo ringraziare Tonino Abbale (il produttore, ndr)che l’ha reso possibile. Per quanto riguarda la sceneggiatura, non si tratta della mia prima esperienza letteraria, ho già scritto due romanzi inediti molto introspettivi: ‘Soffio di vita’ e ‘La seggiovia’. E sarei pronto a cimentarmi nuovamente nella scrittura cinematografica, qualora mi fosse richiesto.”

Credi che il successo riuscirà a cambiare ciò che sei e in cui credi?

“Lo spero tanto, perché vorrebbe che dire che saremmo diventati finalmente famosi! Cambiare è un bene, soprattutto se ci si riferisce alla sua accezione positiva ossia evolversi e sperimentare. Come diceva Eraclito: ‘Panta rei’, tutto scorre.”

Farmacista per lavoro e musicista per passione. Come riesci a conciliare questa tua doppia anima: quella scientifica e quella artistica del cantautore?

“A mio avviso, non esiste una distinzione netta tra scienza e arte. In fondo, da Einstein a Fleming: tutti gli scienziati di successo, erano un po’ pazzoidi. È fallace lo stereotipo del musicista ubriaco di notte e a letto di giorno. Per comporre un album bisogna impegnarsi davvero: alzarsi la mattina presto e mettersi a suonare. Serve metodicità nell’arte, la stessa applicata dagli studiosi per compiere le più grandi scoperte scientifiche. 

Da quanti anni suoni con gli Inverso e com’è nato questo sodalizio artistico?

“Il nucleo iniziale del gruppo è costituito da me e mio fratello Vincenzo (al basso, ndr). Suoniamo insieme sin da quando eravamo piccoli: all’inizio in una cover band facendo serate nei locali romani per tirare su qualche soldo. Abbiamo fondato “Gli Inverso” da soli due anni, dapprima con il solo Mauro Fiore e aggregando gli altri a mano a mano, con ragguardevoli difficoltà nel trovare ingaggi. C’è più scetticismo quando proponi brani tuoi, inediti, piuttosto che nel rivenderti come l’ennesima tribute band dei Queen.”

Perché chiamarsi “Inverso”?

“Un nome scelto per distinguere il nostro essere ‘controcorrente’, rispetto alle dinamiche musicali odierne. L’unione di due preposizioni ossimoriche, una di stasi ‘in’, l’altra di moto ‘verso’ coglie il nostro messaggio: proporre un sound alternativo privo di schemi e verità assolute. Così come il gioco di parole ‘in- verso’ significa ‘provare a mettere in versi la vita’.”

Quali sono stati i maestri da cui hai tratto ispirazione per creare il tuo sound?

“Sono stato influenzato dai grandi cantautori di musica leggera italiana: Battisti, Baglioni, De Gregori, De André. Ma, soprattutto, sono stato ispirato dai Beatles, che nel loro gruppo contavano stili musicali e personalità completamente diverse tra loro. Da John Lennon il più rock a Paul McCarthy il più dolce, a Harrison il più psichedelico. Non si sono mai legati a un unico stereotipo musicale, tanto da dover scegliere a un certo punto di rinunciare ai live, per l’estrema complessità nel riprodurre il loro sound con gli strumenti tecnici di allora, per dedicarsi completamente al perfezionamento melodico in studio.”

Quanto tempo hai impiegato per comporre l’album “La pioggia che non cade”? 

“I brani li ho composti in questi ultimi anni e li ho poi arrangiati con gli ‘Inverso’, per l’uscita del film. Sono 12 pezzi, tutti diversi l’uno dall’altro, così come i mesi dell’anno. Vogliono raccontare una storia: un viaggio musicale che va dall’est all’ovest. Dal tango argentino all’underground newyorkese, al sound balcanico e a quello orientale di Fottuta fata. Un concept album suddiviso in due lati, come i vecchi LP, sviluppato sotto la supervisione artistica del bravissimo Pietro Monterisi, batterista di Daniele Silvestri.

C’è una canzone alla quale sei più legato e perché?

“(Un sorriso imbarazzato e una breve pausa). Un po’ tutte, ma se proprio devo scegliere: La Pioggia che non cade. È una canzone fortunata e dal ritmo allegro, accattivante, a dispetto della profondità del testo.”

In effetti, i testi dell’Album sono tutti piuttosto malinconici.  Hanno un riferimento autobiografico?

“Non li definirei malinconici, ma introspettivi. Anche la canzone apparentemente più triste come ‘Tu stupida tu’, se esaminata con attenzione, parla di rinascita e non di fallimento. Sì, i brani sono in parte autobiografici.”

È già in cantiere il prossimo album?

“Direi che è già pronto un secondo album, dall’animo jazz che rievoca le atmosfere fumose del proibizionismo americano Anni’20. Abbiamo già composto una decina di pezzi, che andranno poi raccolti in un unico concept album.

È già l’ora di salutare Carlo, alle prese col suo tour promozionale, ma con l’auspicio di rivederlo presto per presentare il suo prossimo prodotto artistico, che sia un album, un film o un libro. Torniamo a casa arricchiti dalla sua conoscenza e consci di aver incontrato un vero artista, che non delimita l’arte in generi, ma ambisce a sperimentare e innovarsi in più campi: dalla musica al cinema e alla letteratura, al di là di ogni rigido schema.

Condividi sui social

Articoli correlati