Vittorio De Sica, quarant’anni senza il suo genio

Il 13 novembre del 1974 moriva a Parigi uno dei più grandi registi di tutti i tempi

“L’indignazione morale é in molti casi al 2 per cento morale, al 48 per cento indignazione, e al 50 per cento invidia. La letteratura ha scoperto da tempo questa dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d’animo considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla”

(Vittorio De Sica)

E’ stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi registi di tutti i tempi. La sua poesia visiva ha commosso intere generazioni. La sua opera ha influenzato moltissimi cineasti di tutti il mondo. I suoi film che hanno raccontato con estremo realismo tutti gli aspetti della natura umana e hanno lasciato un segno indelebile nella settimana arte.

Capolavori come “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano” e “Umberto D”, fanno parte del patrimonio mondiale della cultura e del cinema.

Il 13 novembre prossimo saranno 40 anni che il cinema italiano ha perso uno dei suoi più celebrati registi ed interpreti, con quattro premi Oscar vinti tra il 1946 e il 1972: Vittorio De Sica, considerato come regista uno dei padri del neorealismo cinematografico e allo stesso tempo come attore uno dei maggiori interpreti della commedia all’italiana.

“Lui era unico, come regista, come autore. Spero che come attore mi sia rimasto qualcosa di lui nel dna”, dice, il figlio Christian che in questi giorni intreccia il ricordo del padre con il lancio del film ‘La scuola più bella del mondo’, di Luca Miniero, che lo vede fra gli interpreti. “Mi auguro che questa coincidenza mi porti bene, anzi sono sicuro che papà dal cielo mi tiene una mano sulla testa”, dice Christian e aggiunge che “quando sono a teatro, prima di andare in scena, mormoro sempre papà proteggimi tu”. La scuola più bella del mondo, per diventare attore e regista, Christian l’ha avuta a casa ma, sottolinea lui, “avrei voluto che durasse almeno un po’ di più, quante cose avrei potuto chiedere a mio padre, quante paure mi avrebbe potuto togliere”. Quando Vittorio de Sica morì, a Neuilly-sur-Seine, in Francia, il 13 novembre 1974, in seguito ad un intervento chirurgico, Christian aveva 23 anni.

Nei suoi 73 anni di vita e 57 di cinema (nel 1917 l’esordio con una particina nel film muto di Giancarlo Saccon “Il processo Clemenceau”) Vittorio De sica ha interpretato e diretto e Christian lo rivede, anche nel senso più stretto, soprattutto in quest’ultima veste: “Quando mio padre interpretava non era lui, fingeva, faceva appunto l’attore. Io lo vedo soprattutto nei film in cui non c’è, quelli che ha diretto; da ‘Sciuscià’ a ‘Ladri di biciclette’, da ‘Miracolo a Milano’ a ‘La ciociara’.

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“In quei film mio padre c’è davvero, con il suo carattere, il suo modo di vedere la vita, e poi c’è anche in immagine, nel senso che nelle movenze, nelle espressioni degli attori rivedo le sue”, aggiunge Christian De Sica, riferendosi alla prassi registica di ‘mostrare’ agli attori cosa si vuole da loro accennando personalmente la scena prima di girarla.

Quando si chiede al figlio quale film del padre lo emozioni di più lui non ha dubbi: “Quando ho rivisto ‘Umberto D’. sono scoppiato a piangere”. Il film, del 1952, ritenuto il migliore di Vittorio de Sica da buona parte della critica, rientra nella stagione neorealista del felice connubio fra il de Sica regista e lo Zavattini soggettista e sceneggiatore che li vide realizzare “Sciuscià” (1946), “Ladri di biciclette” (1948), “Miracolo a Milano” (1951), “L’oro di Napoli” (1954) e “Il tetto” (1956).

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