Talking Heads: 77 compie quarant’anni, tutto quello che il ‘punk pulito’ ha ancora da dirci

Nel settembre del 1977 uscì il primo album della band newyorchese capitanata da David Byrne, che inaugurò il fenomeno della new wave

“Sono un romantico. Ma come lo può essere un matematico. Intendo dire che il mio approccio alla musica è istintivo ma siccome ho paura di scadere con le parole nei cliché del romanticismo, ci vado cauto e mi affido a un atteggiamento matematico. Uso spesso il computer per comporre, ma in genere le idee migliori mi vengono mentre cammino per la strada. E devo stare attento a imboccare strade semideserte per non essere preso per pazzo dai passanti. Non mi faccio ossessionare dalle macchine: le considero solo al servizio della mia ispirazione”.

(David Byrne)

“Il disco, veicolato da un’intuizione più veloce e illuminata di qualsiasi altri, getta le basi di un nuovo modo di intendere il punk: politically correct, si potrebbe pensare, a un ascolto frettoloso e viscerale, lontano mille miglia dal suo genetico nichilismo. In realtà, l’approccio lirico è cinicamente ironico, spietato e ipercritico verso ogni aspetto, tic, automatismo della società post-moderna, grottesca aberrazione di un passato conservatore e di un presente, al contempo, anarchico e liberista, disorientando gli umani, gettati in un’immane corsa verso la realizzazione di un Sé che, a furia di fagocitazioni economiche, politiche, sociali, inizia a perdersi nel caos sino all’inconsapevolezza del proprio agire”

(Mimma Schirosi, Ondarock)

Il contesto storico-musicale

Nella seconda metà degli anni ’70 in Gran Bretagna e negli Usa s’impose un fenomeno giovanile più di costume che di musica che fu definito come “punk”, aggettivo che può essere tradotto come spazzatura o qualcosa di scarsa qualità. Il termine nacque dalla musica punk, caratterizzata da un sound scarnificato, semplice e rozzo. I musicisti punk erano veri e propri ribelli soprattutto nell’abbigliamento e nelle acconciature. Il loro atteggiamento aggressivo e di rottura verso la musica dell’epoca erano le caratteristiche peculiari di gruppi come The Stooges, Ramones, Sex Pistols, Dead Boys, The Damned o Clash e portata avanti ancora dopo negli anni a venire fino a oggi con le relative evoluzioni. La storia del movimento punk ha influenzato numerose forme d’arte e aspetti culturali in genere, dalla musica alla letteratura, dalle arti visive alla moda. Il genere musicale si fece strada nei primi anni settanta nella East Coast degli Stati Uniti, in particolare a New York e Detroit. La corrente però non era ancora conosciuta come punk rock, poiché il termine prese forma qualche anno dopo. Tale movimento musicale fu identificato dalla stampa specializzata come una prosecuzione del garage rock degli anni sessanta, genere la cui caratteristica era, appunto, un’essenza grezza e assai diretta, rispetto ad altri generi di rock & roll. Il genere poteva però essere definito anche come hard rock, infatti gruppi come MC5, The Stooges o Patti Smith erano musicisti che si rifacevano in parte a questo stile. Tra i più noti gruppi proto-punk vanno annoverati The Stooges, MC5, Iggy Pop, New York Dolls, Talking Heads, Television, Blondie, Devo, Patti Smith e molti altri. Gli statunitensi Talking Heads però si distinsero immediamente dal punk per la qualità e la raffinatezza del sound e dei testi, per cui furono poco dopo collocati nella new wave.

La gavetta delle ‘teste parlanti’

Il gruppo dei Talking Head prese forma nel 1974 e si fece le ossa a suon di concerti in piccoli locali e pub della Grande Mela tra il 1975 e il 1976. La band era composta dal cantante-chitarrista David Byrne (1952), il batterista Chris Frantz (1951), la bassista Tina Weymouth (1950) e il chitarrista-tastierista Jerry Harrison (1949). Sin dalle prime jam session apparve chiara l’originalità e l’ecclettismo della band newyorchese. Byrne ed Harrison furono d’accordo nel voler spaziare e abbracciare il funky, la musica etnica, l’avanguardia, il pop e una certa fruibilità nel fondere la musica bianca dell’East Coast con le sonorità nere. Con la sapiente produzione di Tony Bongiovi e Lance Quinn, i quattro giovani musicisti si recarono negli studi di registrazione Sundragon di New York tra la fine del 1976 e la primavera del 1977 per incidere le undici canzoni (quasi tutte opere della creatività di David Byrne) del loro album di debutto intitolato “Talking Heads: 77”, pubblicato esattamente quarant’anni fa, nel settembre del 1977. L’impatto di questo disco sulla new wave statunitense e inglese fu enorme e influenzò moltissimi artisti e gruppi dell’epoca.

Fusione ritmiche tra il funky e la black music

Anche se il primo album dei Talking Heads è ancora abbastanza acerbo (la completa maturità arriverà tre anni dopo con il capolavoro “Remain in light”), ancora oggi a distanza di quattro decenni si possono notare alcune caratteristiche (allora abbozzate) che faranno del quartetto di David Byrne una band innovativa, originale e decisamente eclettica. Sin dall’ascolto delle prime tracce come “Uh oh, love cames to town” e “New feeling” appaiaono chiare le intenzioni del gruppo: la voce squillante di Byrne spesso slegata dalla melodia, il ruolo prettamente ritmico delle chitarrre (Harrison e Byrne), l’uso inusuale di percussioni tipiche dei Caraibi come la Steel pan unito al ritmo funky della batteria e del basso. La sensazione ipnotica e sospesa del sound dei Talking Head maturerà nei dischi seguenti grazie anche alla presenza di musicisti come Brian Eno, Robert Fripp e Adrian Belew. In “Talking Heads: 77” è presente anche la canzone più famosa della band, “Phsyco Killer”, un brano atipico nella struttura melodica, nell’arrangiamento, nei testi sconvolgenti di un eccentrico e allucinato David Byrne.

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