Musica. “After the gold rush”, l’America secondo Neil Young

Nel 1970 usciva il terzo album solista del leggendario cantautore canadese

“Canto questa canzone perché amo l’uomo, so che qualcuno di voi non lo capisce… Ho visto l’ago e il danno compiuto, un po’ di questo è in ognuno, ma ogni drogato è come un sole che tramonta”

(Neil Youg)

“Sudista,

Meglio che presti attenzione

Non dimenticare, quel che dice il tuo Buon Libro

Il cambiamento arriverà anche al Sud alla fine

Ora le tue croci bruciano veloci, sudista”

(“Southern man”)

“Ho sognato di vedere arrivare 

i cavalieri in armatura 

dicevano qualcosa di una certa regina. 

c’erano dei contadini che cantavano 

e dei percussionisti che tamburellavano 

e l’arciere spaccò l’albero. 

c’era una fanfara che soffiava verso il sole 

stava fluttuando nella brezza 

guarda Madre Natura in fuga 

negli anni ’70 

guarda Madre Natura in fuga 

negli anni ’70” 

(After the gold rush)

L’archetipo del folk-rock

Il prossimo 12 novembre compirà 70 anni, un’età in cui è possibile fare il bilancio della sua straordinaria vita, ovvero quella di uno dei cantautori più carismatici, significativi e innovativi degli ultimi cinquant’anni. Neil Young, canadese di Toronto è una figura di primissimo piano nella musica e nella cultura americana. Le sue canzoni e i suoi testi poetici hanno lasciato una traccia indelebile nell’immaginario collettivo. Artista schivo, solitario e tormentato nel corso della sua carriera è passato con estrema disinvoltura dal patrimonio folk statunitense, al rock-blues sino ad essere uno dei precursori del genere ‘grunge’ negli anni ’90. La sua voce acuta e nasale è stata una delle chiavi del suo enorme successo che non lo ha mai abbandonato.

Neil Young debuttò poco più che ventenne nei Buffalo Springfield con Steven Stills nel 1966. Due anni dopo si presentò con il suo primo album solista e nel 1970 entrò nel supergruppo Crosby, Stills e Nash con il capolavoro “Dèjà Vu”, uno dei dischi più importanti della musica americana di tutti i tempi. Sempre nello stesso anno pubblicò “After the gold rush”, considerato uno dei suoi dischi più intensi e memorabili.

Neil Young ha inciso trentanove album in studio, dodici dal vivo; ha composto quattro colonne sonore tra cui “Dead Man” di Jim Jarmush e “Philadelphia” di Jonathan Demme e quattro raccolte. I suoi album hanno ottenuto 23 dischi di platino, 23 d’oro e nove d’argento.

Un album epocale

Dopo l’enorme successo di “Dèjà-Vu”, Neil Young si concentrò immediatamente sul nuovo album solista che secondo le sue intenzioni doveva essere ambizioso, riflessivo e in estrema sintesi doveva rappresentare il suo modo di concepire la vita e la musica. In questo album i testi sono molto sofisticati, poetici, introspettivi ed enigmatici. 

La celebre canzone che da il titolo all’album, è una sorta di trittico sulla parabola dell’uomo sulla Terra, caratterizzata dalla vocazione alla guerra e dal disprezzo della Natura (aggravato dall’evoluzione tecnologica delle armi). Nel primo “quadro” il musicista accenna al Medio Evo (o comunque a prima dell’avvento della polvere da sparo), in cui i danni dell’uomo alla Natura erano ancora lievi. Nel secondo passa a dare uno sguardo agli anni settanta (guerra in Vietnam: un soldato ferito o – forse meglio – di guardia di notte in uno scantinato semidistrutto in attesa del cambio, improvvisamente vede i lampi dei napalm. Neil Young dice “Stavo pensando a quello che aveva detto un amico…Speravo fosse una bugia”), il soldato ascolta musica rock fornita dall’US Army insieme ad altri “generi di conforto”, di cui ha fatto uso per sopportare meglio il martirio di quella guerra atroce. Nel terzo e ultimo “quadro”  c’è un chiarissimo riferimento al brano “Wooden Ships” di Crosby, Kantner e Stills, che a sua volta rispecchia uno dei sogni hippie: sarà la fuga dalla Terra ormai distrutta dalla guerra nucleare a salvare la Natura, insieme a quella parte di umanità che avrà capito.

Con l’aiuto dei produttori David Briggs e Kendall Pacios, il cantautore canadese iniziò le registrazioni dell’album nell’agosto del 1969 presso gli studi Sunset e Sound City in California. Il lavoro fu lungo e complesso e l’album fu terminato nel giugno del 1970. Nel disco Neil Young suona  la chitarra acustica, il pianoforte, l’armonica e il vibrafono. Il compositore canadese scelse con cura i musicisti per “After the gold rush” in quanto aveva in mente un album che dovesse bilanciare perfettamente le parti più intimistiche con quelle più aggressive. Nel disco suonano i chitarristi Danny Witten e Nils Lofgren, il pianista Jack Nietzsche, i bassisti Billy Talbot e Greg Reeves, il batterista Ralph Molina e Bill Peterson al flugelhorn. Stephen Stills partecipò solo in veste di cantante.

L’album si apre con la sognante “Tell me why”, seguita dalla meravigliosa e struggente “After the gold rush”, caratterizzata dal testo pieno di allegorie sulla recente storia americana. “Only love can break your heart” è una delicata ballata folk sull’amore, uno dei momenti più melodici e romantici dell’album. La successiva “Southern man” è la canzone più politica dell’album: si tratta di un rabbioso atto di accusa contro il razzismo e la condizione degli afroamericani negli Usa.  Le altre canzoni compongono un quadro struggente di momenti folk e altre sonorità più rock in cui emerge il caratteristico stile elettrico di Neil Young. Il disco è una sorta di affresco perfettamente bilanciato di un compositore al massimo delle sue possibilità creative.

“After the gold rush”, pubblicato il 19 settembre del 1970 raggiunse la quinta posizione in Canada, la tredicesima in Australia, l’ottava negli Stati Uniti, la settima in Gran Bretagna e l4esima in Svezia. Complessivamente ha venduto oltre quattro milioni di copie in tutto il mondo.

Condividi sui social

Articoli correlati